Mario Draghi “può servire meglio il Paese” da capo dello Stato. A sostenerlo è il Financial Times (qui l’articolo). “Da ottimo economista – scrive l’autorevole quotidiano economico inglese in un editoriale a firma dell’ex direttore dell’Economist, Bill Emmott -, Mario Draghi conosce la teoria del ‘seconda best’, della seconda migliore opzione. In un mondo perfetto, dovrebbe rimanere premier per tutti i cinque anni del Piano nazionale di ripresa e resilienza degli investimenti pubblici e delle riforme, il Pnrr finanziato essenzialmente dall’UE che ha messo in carica da quando è entrato in carica a febbraio”.
“Ma se il risultato perfetto è irraggiungibile – aggiunge il Financial Times –, è giusto optare per la migliore soluzione imperfetta: vale a dire che Draghi sia eletto presidente della Repubblica dal Parlamento a fine gennaio, e da lì per i prossimi sette anni sovrintenda alle questioni come capo dello Stato”.
Per il Financial Times l’altra idea di cui si parla tanto, ovvero che Draghi rimanga primo ministro fino al 2023, quando si terranno le prossime elezioni, “è un’illusione”. L’ex presidente della Bce per il quotidiano economico non potrà realizzare altrettanti “notevoli progressi come nei suoi 10 mesi in carica” perché questi “sono dipesi dalla tregua” tra i partiti dell’ampia coalizione che lo sostiene, dove solo i Fratelli d’Italia sono all’opposizione.
“Dopo gennaio – scrive ancora Emmott -, quel cessate il fuoco potrebbe durare per altri sei mesi al massimo prima che prenda il sopravvento la febbre elettorale: sei mesi con le mani su un volante sempre più tremolante rispetto a sette anni da autorevole vigile urbano. Questa è la vera scelta di fronte a Draghi che peraltro deve ancora confermare che voglia andare al Quirinale ai deputati italiani”.
E anche qualora si riuscisse a convincere Sergio Mattarella a rimanere per un secondo mandato “questo rimanderebbe soltanto la questione e aumenterebbe il rischio” che qualcun altro, e non Draghi vada al Quirinale. Il Financial Times dunque non ha dubbi: “Non è questo il modo ideale per rivitalizzare un Paese, rimasto in una situazione stagnante per la maggior parte” degli ultimi 30 anni.
Del resto, “una riforma da manuale richiederebbe 10 anni di mandato, aiutato da una base politica stabile. Nel mondo reale, costantemente volatile, della politica italiana, il governo Draghi ha già ottenuto molto: il piano di spendere 191,5 miliardi di euro dal Fondo UE Next Generation, più 30,6 miliardi di euro di fondi propri dell’Italia, si è attirato elogi. I suoi investimenti in infrastrutture, transizione energetica e digitalizzazione puntano a soddisfare i criteri stabiliti dallo stesso Draghi nell’agosto 2020 da privato cittadino, quando sostenne che il debito pubblico aggiuntivo potesse essere giustificato solo se in grado di aumentare il potenziale produttivo dell’economia”.
“La difficoltà è che fare tutto ciò richiede non solo che i soldi siano ben spesi; deve essere accompagnato da riforme profonde e sostenute della pubblica amministrazione, della giustizia e del sistema fiscale. Gli investitori privati devono arrivare a credere che tali cambiamenti siano permanenti”. E, invece, sempre secondo Financial Times, il rischio concreto è che “questa raffica di investimenti pubblici garantisca all’Italia diversi anni buoni, dopodiché ristagni”.
“Alcune di queste riforme sono cominciate”, riconosce il quotidiano economico britannico, “con una serie di leggi approvate quest’anno. Ma in Italia non sono mai mancate nuove leggi. Ciò che è mancato è stata l’attuazione consistente e coerente delle riforme. Qualche mese in più di Draghi come premier sarebbe utile per questo, ma non trasformativo. Occorre che gli equilibri della politica italiana si spostino verso l’accettazione e l’attuazione a lungo termine di tali riforme, affinché possano durare attraverso i successivi governi”.
E questo mutamento di prospettiva potrebbe essere aiutato “da un capo di Stato tenuto in grande considerazione in patria e all’estero, in altre parole Mario Draghi”. “Per decenni, la presidenza italiana è stata marginale ed essenzialmente di funzione cerimoniale. Ma poiche’ i partiti politici si sono andati frantumando negli ultimi tempi, i presidenti hanno utilizzato i limitati poteri del ruolo – scioglimento del Parlamento, designazione dei premier, approvazione degli esecutivi – in modo sempre più efficace”.
Gli ultimi due, Giorgio Napolitano e Mattarella, sono stati qualcosa a metà “tra un presidente non esecutivo e un papa laico”. “Se Draghi salirà al Quirinale a febbraio, probabilmente rimarrà un sostegno sufficiente in Parlamento per la formazione di un nuovo governo ad interim”, probabilmente guidato “da uno dei suoi attuali ministri non politici”: un “governo fotocopia, il più vicino possibile al governo Draghi”.
Il Financial Times non si fa illusioni: “Sarà debole e probabilmente incapace di approvare molte leggi. Ma potrebbe fare un importante lavoro di comunicazione all’esterno portando a termine nel contempo la gran parte del lavoro di dettaglio necessario per spendere bene i soldi dell’Ue. A quel punto sarebbe tutto in gioco nelle elezioni del 2023, supervisionate dal presidente Draghi”.
Dunque il quotidiano britannico ha di fatto cambiato idea a distanza di meno di due settimane. L’8 dicembre, con un’analisi in prima pagina, infatti, aveva sostenuto che “la prospettiva che Mario Draghi si dimetta da primo ministro italiano per assumere il ruolo di presidente minaccia di far piombare il paese nell’instabilità politica proprio mentre il governo intraprende ambiziose riforme strutturali e un piano di ripresa dal coronavirus sostenuto da quasi 200 miliardi di euro di fondi Ue”.