E’ stato necessario ancora un voto di fiducia per il governo targato Matteo Renzi. L’ultimo, quello posto oggi sul Jobs Act, è il trentesimo dell’ultima gestione di Palazzo Chigi. A fare i conti c’ha pensato nei giorni scorsi l’associazione Openpolis. Ai 29 voti di fiducia, 16 volte alla Camera e 13 al Senato, c’è da aggiungere l’ultima decisione finalizzata a blindare il provvedimento sul lavoro a Palazzo Madama. Tensione e scontri si sono registrati per le vie di Roma nel corteo anti Jobs Act. Intanto il record rimane di livelli assoluti. Si tratta infatti del valore più alto mai registrato dal 1996 ad oggi come certificato dallo studio. Il tutto per l’approvazione di 55 leggi in appena nove mesi. Dal totale dei provvedimenti approvati potrebbero, per di più, essere sottratte le ratifiche del Parlamento di trattati internazionali che non hanno alcun esito politico, avendo un esito comunque scontato per la loro stessa natura. Percentuali di ricorso alla fiducia che superano il 50% rispetto ai provvedimenti approvati. Escludendo le ratifiche dei trattati si supererebbe il 70%. Il suo predecessore, Enrico Letta, diede molta più voce in capitolo alle Camere, ricorrendo al voto di fiducia per l’approvazione delle leggi soltanto nel 23,32% dei casi. Messi alle spalle in classifica pure l’esecutivo guidato da Mario Monti, 45,13%, e quello firmato Romano Prodi II, 33,93%. C’è chi si è spinto a sostenere che si tratta addirittura di un “presidenzialismo di fatto”. Sarà andato troppo oltre? Una cosa è certa, però: così le Camere servono davvero a poco. Alla fine sul Jobs Act la fiducia è arrivata con 166 sì, 112 no e un astenuto.
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