E’ stato lo stesso premier, nel corso del Consiglio dei ministri chiamato a dare il via libera al nuovo decreto anti Covid, a chiedere (e ottenere all’unanimità) l’autorizzazione a porre la questione di fiducia sulla contestata (dai 5S) riforma della giustizia. “C’è stato un testo approvato all’unanimità e questo è il punto di partenza, siamo aperti a miglioramenti di carattere tecnico, si tratterà di tornare in Consiglio dei ministri”, ha precisato Mario Draghi.
Insomma palla al centro tra i pentastellati, che hanno sommerso con oltre 900 subemendamenti le proposte della Guardasigilli, e il premier. Imperativo di Draghi è portare a casa la riforma entro agosto, quando si entrerà nel semestre bianco. “La richiesta di autorizzazione di fiducia è dovuta al fatto di voler porre un punto fermo. C’è tutta la buona volontà ad accogliere emendamenti che siano di carattere tecnico e non stravolgano l’impianto della riforma e siano condivisi”, ha spiegato il premier.
A questo punto si ragiona su quali possano essere questi “accorgimenti tecnici”. Al centro delle critiche che in questa settimana hanno demolito il testo della ministra Marta Cartabia – dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri al procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho, dall’Anm al presidente della Corte d’Appello di Napoli fino all’ultima bordata del Csm (leggi l’articolo) – ci sono le norme che fanno terminare il giudizio di appello per improcedibilità dopo due anni (tre per i reati più gravi) e la Cassazione dopo un anno (18 mesi per i reati più gravi). “Si fa un favore alle mafie”, ha attaccato Gratteri.
Critiche che il M5S ha rilanciato. Su questo la Cartabia, accanto a Draghi nella conferenza stampa, apre a modifiche. “Data la criticità di alcune Corti di appello”, come quella di Napoli, “la preoccupazione è quella di evitare che l’impatto di una novità come quella che è stata introdotta, soprattutto con l’improcedibilità dopo un certo periodo di tempo, che è variabile a seconda della gravità della situazioni, non provocasse una interruzione di procedimenti importanti. Questa è una preoccupazione molto seria che anche il governo ha avuto fin dall’inizio e sulla quale si stanno valutando questi accorgimenti tecnici”.
Nessuno vuole sacche d’impunità, arriva in soccorso alla ministra Draghi, “vogliamo un processo rapido e che tutti i colpevoli siano puniti. Niente delazioni, non è questo l’intento di questo governo”. “Questa riforma non è la riforma della prescrizione” ma “è una riforma complessiva della giustizia che ha uno scopo: quello di abbreviare i processi anche per evitare le zone di impunità”, ha puntualizzato Cartabia.
Secondo cui “il 37% dei processi si prescrive nelle fasi dell’indagine”. L’intento del leader in pectore del M5S Giuseppe Conte peraltro non pare quello di stravolgere l’impianto della riforma ma di intervenire con modifiche puntuali. La spinta è quella di fissare per tutti i processi un’asticella riguardo al timing e di allungare ancora di più la lista dei reati imprescrittibili. Ieri la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso che la riforma è calendarizzata in aula alla Camera per venerdì prossimo, 30 luglio. Subito dopo si è riunito l’ufficio di presidenza della Commissione Giustizia che ha convocato una seduta per oggi, dedicata solo alle ammissibilità dei subemendamenti.
L’autorizzazione della fiducia significa che il 30 in ogni caso si andrà in Aula, che si raggiunga o meno in Commissione un’intesa con M5S. Non si esclude che qualora non si trovasse l’accordo verrebbe lasciata ai parlamentari pentastellati la libertà di coscienza su come comportarsi in Aula.