Consulenze e analisi di laboratorio falsificate per partecipare alle gare d’appalto per la fornitura di pietrisco destinato alla costruzione di massicciate ferroviarie. È lo scandalo, consumato ai danni di Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), portato alla luce dalla Guardia di Finanza di Roma, coordinata dal procuratore aggiunto Rodolfo Maria Sabelli, e per la quale cinque persone sono finite agli arresti. Si tratta di imprenditori del nord Italia e di un consulente che, a seconda delle posizioni, sono accusati di corruzione, truffa e frode nelle pubbliche forniture. Una maxi inchiesta in cui sono già indagate 26 persone, come si legge all’interno dell’ordinanza di 300 pagine firmata dal gip Giulia Proto, tra cui due dipendenti di Rfi, costruttori, tecnici e perfino due professori in servizio uno all’Università di Milano e l’altro a quella di Torino.
Secondo quanto accertato dalla Procura di Roma, gli imprenditori indagati avrebbero messo in atto un sistema corruttivo con il quale riuscire ad aggirare gli stretti paletti imposti da Rfi, quest’ultima partecipata con Ferrovie, sul tipo e la qualità dei materiali da loro estratti. Per farlo i fratelli Lorenzo e Massimo Lupo Drovetto, gestori di una società specializzata nella commercializzazione di inerti ossia materiali grezzi usati nelle costruzioni, in collaborazione con Luca Bronzino, proprietario di una cava a Malvicino in provincia di Alessandria, erano disposti a tutto. Ben consapevoli della mancanza dei requisiti, come emergeva con chiarezza anche da un’ispezione da parte dei tecnici, avevano deciso di allacciare i rapporti con due funzionari infedeli di Ferrovie Spa e Rfi Spa.
Proprio loro, uno dei quali oggi in pensione ma che all’epoca dei fatti era in attività, si davano da fare per invalidare la precedente ispezione e a farne svolgere una seconda dalla professoressa compiacente Maria Iole Spalla, docente presso il Dipartimento della Terra e dell’Università degli Studi di Milano. E proprio lei, secondo la ricostruzione dei magistrati, riusciva a risolvere la situazione scrivendo una relazione ad hoc giudicata “non veritiera in quanto priva dell’indicazione dell’esistenza di materiali, rocce classificate come “pietre verdi”, caratterizzate dalla potenziale presenza di minerali amiantiferi” che avrebbe determinato l’immediata bocciatura del progetto per via della loro pericolosità. In questo modo, ottenuta la qualificazione, l’azienda riusciva a vendere 9 mila tonnellate di pietrisco non conforme fino a quando il raggiro non veniva scoperto e la relativa autorizzazione sospesa da RFI Spa.