Ogni anno, il 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un giorno che arriva puntuale con il peso di numeri inaccettabili e con una lunga scia di vite spezzate. Secondo l’Onu, nel 2023, sono state uccise intenzionalmente 85mila donne e ragazze in tutto il mondo. Una ogni dieci minuti. La casa, ancora una volta, si conferma il luogo più pericoloso per loro. E spesso l’assassino ha le chiavi della porta.
Il solito copione istituzionale
La politica non si è fatta attendere, con le dichiarazioni di rito. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ribadito che la violenza sulle donne è un “comportamento che non trova giustificazioni, radicato in disuguaglianze e stereotipi di genere”. Il capo dello Stato ha ricordato che “quanto fatto finora non basta”, sottolineando l’urgenza di interventi strutturali e azioni concrete per garantire diritti e protezione alle vittime.
La premier Giorgia Meloni ha definito la violenza una “piaga sociale e culturale” e ha rivendicato gli strumenti messi in campo dal governo. Ma le parole pesano meno delle risorse: i finanziamenti ai centri antiviolenza restano insufficienti, così come quelli destinati agli asili nido e al sostegno alle famiglie, come ha denunciato la senatrice del Pd Annamaria Furlan. “Il patriarcato esiste ed è la cornice culturale in cui il governo Meloni opera,” ha detto Furlan, aggiungendo che le risorse mancano anche per ridurre il divario salariale e il carico di lavoro familiare che grava quasi esclusivamente sulle donne.
La solita propaganda
A spostare il dibattito sul piano delle strumentalizzazioni ci ha pensato Matteo Salvini, che ha scelto di attribuire un ruolo centrale alla nazionalità degli aggressori, parlando di una “crescente incidenza degli stranieri”. Peccato che il suo stesso ministero lo smentisca: secondo i dati del Viminale, oltre il 70% degli autori di femminicidi è italiano. Un dato che Salvini evita di menzionare, preferendo concentrarsi su un tema che è da sempre funzionale alla sua narrativa.
Le altre voci della politica
Ignazio La Russa, presidente del Senato, ha sottolineato la necessità di un “radicale cambiamento culturale” per contrastare quella che ha definito “una ferita inaccettabile per la nostra società”. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha posto l’accento sull’educazione al rispetto, annunciando che per la prima volta l’educazione alla parità è stata inserita tra gli obiettivi curriculari obbligatori nelle scuole.
Dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è arrivato un messaggio di solidarietà alle vittime: “Rompiamo il silenzio, poniamo fine alla violenza sulle donne. Ogni donna merita protezione, giustizia e ascolto”. E il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ha invocato “un impegno a ogni livello” per creare una rete di tutela efficace, riconoscendo che “i numeri sono drammatici”.
Una società che non cambia
Mentre si moltiplicano gli appelli istituzionali, i dati rimangono impietosi. Nei primi sei mesi del 2024, il 56% delle donne uccise è stato vittima di partner o ex partner. Gli omicidi commessi in ambito familiare sono diminuiti, ma resta costante l’incidenza delle vittime femminili sul totale. E nei luoghi di lavoro, oltre il 50% delle imprese non ha sistemi sicuri per denunciare molestie, secondo il Censis. Un divario tra consapevolezza e azione che si riflette in tutti gli ambiti.
Il ricercatore del Censis, Giulio De Rita, ha spiegato che molte aziende considerano le molestie “un problema che riguarda gli altri”. Ma le donne non hanno bisogno di retorica, bensì di azioni concrete: centri antiviolenza accessibili, strumenti per denunciare senza paura di ritorsioni, formazione e cultura che partano dalla scuola e arrivino alle aziende.
Oltre le parole
In questa giornata, il peso delle parole si mescola al silenzio di chi non c’è più. Nomi come Giulia Cecchettin o Giulia Tramontano sono diventati simboli, ma anche moniti. Le cronache raccontano storie di manipolazione e controllo che spesso avrebbero potuto essere fermate. Ogni numero è un grido. Ogni assenza è un fallimento. La sfida più grande è spezzare il cerchio, non solo il silenzio. Ma per farlo, le parole devono diventare azioni, e gli slogan, politiche. Perché la violenza non aspetta.