Vittorio Feltri per IlGiornale.it
Il mio amico Antonio Polito, che fra tante buone qualità ha però il difetto di essere di sinistra (è stato perfino senatore della Margherita, oltre che direttore del Riformista), ha scritto ieri un elegante editoriale sul Corriere della Sera, invitando Silvio Berlusconi ad agire con calma e lucidità davanti alla prospettiva del suo siluramento da Palazzo Madama, evitando di mettere a rischio la sopravvivenza del governo.
Parole sensate e nobili concetti. Ma l’autore del panegirico dimentica un problemuccio: il Cavaliere è stato condannato – senza prove provate – a una pena severissima per un reato presunto che ad altri personaggi, i quali lo hanno sicuramente commesso, non è costato un sol giorno di galera. Nei panni di Silvio, presumo che anche Antonio sarebbe nervoso e non avrebbe la serenità per accettare una punizione così severa quasi si trattasse di una semplice calamità naturale, contro cui è inutile ribellarsi.
Polito ha ragione quando afferma che se Berlusconi facesse saltare la maggioranza di sostegno al gabinetto Letta, sarebbe un disastro per il Paese. Ma non tiene conto del fatto che il centrodestra, qualora fosse privato del proprio leader, sarebbe vittima di una tale mutilazione da renderlo zoppo se non addirittura paralitico. So benissimo che le altrui disgrazie lasciano tutti indifferenti, inclusi i giornalisti progressisti, ma a chi è minacciato di essere fatto fuori bisognerebbe almeno riconoscere il diritto di difendersi nelle sedi opportune.
Polito invece dà per scontato che Berlusconi sia colpevole e meriti pertanto di andarsene in punta di piedi senza disturbare i manovratori che hanno brigato per mandarlo ko con armi non politiche, ma giudiziarie. Mi sembra una pretesa eccessiva. Mi domando per quale motivo l’esimio giornalista piuttosto non raccomandi al Pd, visto che non ha motivi per essere inquieto e frettoloso, di affidare alla Corte costituzionale l’onere di decidere se la legge Severino (sulla famosa decadenza dei parlamentari condannati in via definitiva) sia retroattiva o no. Un punto, questo, su cui gli esperti in materia sono in disaccordo.
Perché non concedere un’ultima chance al Cavaliere? È palese la voglia matta dei commissari democrat, chiamati il 9 settembre a esprimersi in proposito, di negargli il ricorso alla Consulta. Tant’è vero che, prima ancora di esaminare le carte, essi hanno annunciato pubblicamente: pollice verso. Converrà Polito che non siamo di fronte a un giudizio, ma a un pregiudizio.
E pensare che se la pratica venisse girata alla Consulta – come sempre si usa fare quando esiste un dubbio interpretativo su una norma – il Partito democratico allontanerebbe da sé il sospetto di aspirare al ruolo di boia. Non solo: obbligherebbe automaticamente il Pdl a starsene buono buono, permettendo al governo di proseguire nel lavoro intrapreso e tutt’altro che concluso.
Probabilmente l’editorialista, senza accorgersene e pendendo dalla parte che ama, ha trascurato di suggerire ai compagni di comportarsi correttamente e ha preferito consigliare a Berlusconi di salire con le proprie gambe sul patibolo, come se si trattasse di partecipare a una cena elegante. Accà nisciuno è fesso.