Da una parte l’avvocato che lamenta pesanti irregolarità tanto da giustificare un potenziale ricorso in appello; dall’altra uno Stato che al momento non assolve il ragazzo italiano né a quanto pare ha intenzione di chiedere il rimpatrio. La vicenda di Giacomo Passeri, italiano condannato all’ergastolo per droga in Egitto, si tinge di giallo. E rischia, secondo molti, di trasformarsi in un nuovo “caso Zaki”.
Il caso Passeri
Ma partiamo dal principio. Passeri è stato trovato nell’agosto 2023 in possesso di una piccola quantità di marijuana. Per uso personale. La magistratura egiziana lo ha accusato di detenzione e traffico di stupefacenti. E anche di far parte di una piccola rete di spaccio sul mercato locale. Ora, come detto, è arrivata la condanna all’ergastolo. E qui cominciano le prime stranezze. Perché dalle dichiarazioni rese ieri dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, la difesa del ragazzo è tutt’altro che nell’orizzonte del governo: “Passeri è stato trovato con dosi di droga importanti. Abbiamo seguito la vicenda fin dall’inizio. Sembrava fosse una questione di ‘fumo’ invece si è sentito male in aeroporto perché sarebbe esploso un ovulo di cocaina che aveva in pancia insieme ad altri. Seguiremo la vicenda ma il traffico di droga c’era”, ha detto il ministro a margine del suo intervento al Meeting di Rimini.
“Vigileremo affinché tutti i diritti siano rispettati e vediamo il processo di appello – ha aggiunto – la pena deve essere privazione della libertà ma non mortificazione o offesa della dignità del detenuto. Sicuramente non abbandoniamo nessun italiano”. Almeno il dubbio, però, resta. Già, perché prima della condanna Passeri ha praticamente trascorso quasi un intero anno in carcere tra interrogatori saltati, interpreti che non si trovano, udienze rinviate di tre mesi in tre mesi. L’avvocato egiziano che lo assiste ha emesso una parcella di 30 mila euro, pagata attraverso il crowdfunding. I suoi quattro fratelli chiedono da mesi “che lo Stato si interessi a lui, se ha fatto qualcosa è giusto che paghi, ma può farlo in Italia, riportatelo a casa”. E nessuno ha mai risposto loro. Non solo. Circa un mese fa Passeri ha raccontato di essere stato “torturato”, “rinchiuso per ore in una cella piena di feci, urine, scarafaggi, con le manette talmente strette da non far più scorrere il sangue nelle dita”. Poi trasferito in un’altra gabbia con “12 detenuti accusati di omicidio, tentato omicidio”. Operato d’appendicite e “abbandonato senza cure per giorni”, tra agenti che gli “tiravano acqua addosso” e lo “minacciavano in arabo”. Non proprio un’ampia garanzia di tutela dei diritti umani.
Il giallo
La cosa, però, sembra non preoccupare Tajani dato che nessuno ha chiesto il rimpatrio. Ma c’è di più. L’avvocato di Giacomo Passeri ha detto che nel presentare appello chiederà una ”assoluzione” del pescarese la quale dovrebbe essere pronunciata “presto”. Più nel dettaglio, il legale, Shaaban Said, ha aggiunto che in parallelo chiederà che Passeri venga estradato in Italia. “Farò appello”, ha confermato l’avvocato rispondendo per iscritto. “E chiederò l’assoluzione”, ha aggiunto sostenendo che Passeri “la otterrà presto”. “Presenterò anche una richiesta parallela affinché il procuratore generale chieda la sua estradizione nel suo Paese, l’Italia”, ha scritto ancora Shaaban. Che ha aggiunto un dettaglio non di poco conto. “Riteniamo ci sia invalidità nel procedimento, poiché gli avvocati inquirenti non hanno partecipato alle udienze. Per questo motivo farò ricorso al verdetto”. Insomma, ci sarebbe anche l’ombra di irregolarità. A cui il governo non ha fatto cenno. Per ora.