Il regolamento social in casa Rai c’è, ma non si vede. Sebbene infatti esista un codice di condotta approvato nel lontano 2012 dall’allora direttore generale di Viale Mazzini, Lorenza Lei, nessuno pare ricordarsene. Con la conseguenza che i dipendenti e i giornalisti Rai finiscono col poter postare o twittare ciò che vogliono, magari anche contenuto offensivo, senza alcun rischio di richiamo interno o, peggio, sanzioni. Esattamente come capitato pochi giorni fa con la giornalista del Tg2 Anna Mazzone.
Nella notte tra il 28 e il 29 giugno scorso la nave Sea Watch sbarca a Lampedusa e prontamente la giornalista twitta: “#Seawatch. Blitz della crucca che forza il blocco e attracca a Lampedusa dove viene arrestata per violazione del codice navale. Rischia dai 3 ai 10 anni di carcere. è l’unica ad essere sbarcata. Migranti ancora su con Orfini, Delrio e varie ed eventuali. Poveracci…i migranti”. Un tweet che, evidentemente, non solo era offensivo per Carola Rackete ma irrideva anche i deputati del Pd. In un solo post, en-plein.
Ed è per questo che il deputato dem in commissione Vigilanza, Michele Anzaldi, ha prontamente presentato un’interrogazione nella quale ricorda, per l’appunto, che “a giugno 2012 l’allora dg Rai Lorenza Lei emanò una direttiva interna che equiparava la comunicazione social dei dipendenti Rai con le norme interne riguardanti il contegno da tenere in dichiarazioni pubbliche ai media”. In altre parole, se la direttiva fosse stata applicata, difficilmente la Mazzone avrebbe potuto scrivere quanto ha invece scritto su Twitter. Ed è per questo che Anzaldi, tra le altre cose, ha chiesto all’azienda pubblica “se sia a conoscenza dei fatti descritti nella premessa e quali siano le valutazioni in merito” e, soprattutto, “quale sia la motivazione della mancata applicazione della direttiva dell’ex dg Lei, strumento che potrebbe evitare la diffusione di messaggi offensivi sui social dei gironalisti Rai”.
Due giorni fa è finalmente arrivata la risposta di Viale Mazzini che, semplicemente, ha deciso di non rispondere, aggirando il problema. Senza far riferimento menzione alla direttiva della Lei (nonostante fosse chiaramente richiamata da Anzaldi), la Rai spiega che “a seguito del sempre più diffuso utilizzo dei social network […] sta ultimando la redazione di un regolamento ad hoc che prevede nome generali e particolari per l’utilizzo dei presidi digitali aziendali e privati”. Non solo: nella risposta si fa riferimento alle policies delle Tv straniere, “in particolare BBC”, che sarebbero state prese a modello. Insomma, nonostante l’esistenza di una direttiva da sette anni, Viale Mazzini tende a rinviare a un regolamento ancora da adottare.
BARRICATE. Ma non è tutto. “In realtà – spiega Anzaldi contattato da La Notizia – il regolamento cui si fa cenno nella risposta della Rai, è quello di cui si è parlato pochi giorni fa in Commissione Vigilanza. Si vede che a Viale Mazzini hanno saputo che ci si sta lavorando in Vigilanza e l’hanno citato nella risposta”. Insomma, il paradosso: la Rai replica alla Vigilaanza parlando di di un codice che, in realtà, sta predisponendo la stessa Commissione. “La vicenda – continua ancora Anzaldi – non è che l’ultima di una serie e rivela come sia assolutamente necessario un codice di condotta”. Anche perché, spiega il deputato dem, “solo la Rai non ne ha uno: rappresenta un’anomalia. Pochi lo sanno, ma anche i giornalisti di Mediaset hanno un proprio regolamento. Stesso dicasi per le grandi Tv straniere. Perché Viale Mazzini dovrebbe farne a meno?”.
La questione, verosimilmente, potrebbe far scoppiare una nuova polemica con i sindacati Rai che già promettono battaglia per difendere la libertà di espressione dei singoli giornalisti. “Ma qui non si parla di libertà di espressione individuale, che ovviamente va sempre difesa – insiste Anzaldi – Lavorare in un’azienda come la Rai comporta oneri e onori. Ed è inammissibile che un dipendente interno possa essere offensivo sui propri social. Un regolamento occorre assolutamente”. A patto però che poi venga effettivamente seguito.