La tassa “più odiosa”. Quella che accentua maggiormente le disuguaglianze e penalizza di più le famiglie con redditi bassi. L’inflazione grava maggiormente sui cittadini “che hanno una minore capacità di spesa”, come afferma Roberto Rustichelli, il presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Erodendo i risparmi degli italiani, sempre più in difficoltà contro il caro-vita.
Nonostante questo, però, resta l’immobilismo del governo Meloni, che si preoccupa solamente di evitare che si inneschi una spirale salari-inflazione schierandosi contro gli aumenti di stipendio o di tagliare le misure a sostegno dei più bisognosi, come nel caso del Reddito di cittadinanza.
L’ennesimo allarme sulle conseguenze dell’inflazione viene lanciato dal presidente dell’Antitrust che cita gli economisti quando parlano della tassa più odiosa e spiega che l’inflazione “colpisce i bisognosi più dei ricchi, riduce il valore dei risparmi e pesa particolarmente sui lavoratori a reddito fisso”. Rustichelli sottolinea un dato: “Per il 20% delle famiglie meno abbienti, l’inflazione effettiva arriva a essere quasi il doppio di quella delle famiglie più ricche”.
L’inflazione brucia i risparmi degli italiani
C’è un altro dato particolarmente significativo e riguarda i risparmi degli italiani. Un popolo, storicamente, di risparmiatori. Ma che ora si trova costretto a spendere i soldi messi da parte (soprattutto durante le chiusure dettate dalla pandemia) per far fronte all’aumento dei prezzi. Nel 2022, secondo i dati dell’Antitrust, “oltre la metà delle famiglie ha eroso i propri risparmi”.
Anche perché, come sottolinea Rustichelli, “al forte aumento dei tassi praticati a famiglie e imprese per i prestiti bancari non è seguito un corrispondente aumento dei tassi di interesse riconosciuti ai depositanti”. Così il 55% delle famiglie ha dovuto intaccare i risparmi. Un problema che riguarda soprattutto chi ha redditi più bassi e che non ha potuto far altro che utilizzare i soldi messi da parte, considerando che gli aumenti maggiori si sono registrati su spese inderogabili, come quelle per le bollette e la spesa alimentare.
L’immobilismo del governo di fronte alla crisi
A pagare il prezzo dell’inflazione, quindi, sono soprattutto i redditi più bassi e i lavoratori dipendenti, che non vedono crescere i loro stipendi. Proprio su questo si dovrebbe intervenire per aiutare le famiglie maggiormente in difficoltà, ma le trattative sugli aumenti salariali sono ferme o procedono al rilento. E anche sul fronte del pubblico impiego gli aumenti sono stati congelati dal governo per il 2023.
L’unica cosa che fa il governo, a parte un aumento del taglio del cuneo fiscale del tutto insufficiente (parliamo di poche decine di euro in più in busta paga), è dire che i salari non devono crescere troppo. Oltre a tagliare le misure di sostegno per i più bisognosi, come fatto con il Reddito di cittadinanza.