Era il 28 settembre scorso quando Paolo Gentiloni, intervendo alla Conferenza nazionale sulla Famiglia, dichiarava: “Negli ultimi 10 anni la tenuta del nostro sistema paese è stata assicurata da alcuni pilastri fondamentali e tra questi, appunto, certo dalle nostre famiglie”. Curioso che a dirlo sia stato il presidente del Consiglio che, dopo le dimissioni a luglio scorso di Enrico Costa da ministro con delega alla famiglia, ha deciso di non riassegnarla a nessuno. Non sorprende allora se poi ci troviamo a leggere i dati snocciolati dall’Istat ieri: nel 2016 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 473.438 bambini, oltre 12mila in meno rispetto al 2015. Nell’arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100mila unità. Già, perché il disinteresse sulle famiglie porta, poi, a fondi non assegnati, risorse bloccate e promesse mai concretizzate.
L’ultimo bluff – L’ultimo esempio arriva dalla Legge di Stabilità. Nel testo presentato dal Governo, infatti, mancava la proroga del cosiddetto “bonus bebè”da 80 euro al mese per le famiglie meno abbienti. Un taglio di ben 200 milioni di euro, “rimpiazzato” da un generico “fondo per la famiglia” da 100 milioni (per fare cosa? Non è chiaro). Solo con l’esame in Commissione Bilancio si è riusciti a mettere la più classica delle “toppe”. Una toppa, manco a dirlo, insufficiente. Il bonus bebè, da quanto si apprende, diventerà strutturale (la norma inizialmente aveva validità triennale) ma l’assegno per i nuovi nati sarà più leggero. Secondo quanto prevede l’ultima versione dell’emendamento alla manovra su cui manca però ancora il via libera definitivo, il bonus varrà per il primo anno di età del bambino o per il primo dopo l’adozione (e non più per tre anni). Per il 2018 saranno corrisposti alle famiglie 80 euro al mese, fino a 960 euro nel caso di nati a gennaio, mentre dal 2019 in poi, invece, l’assegno sarà di 40 euro al mese, per un massimo di 480 euro l’anno. Insomma, la misura diventerà strutturale soltanto se l’agevolazione verrà dimezzata. Niente male. Ma non è tutto. Cerchiamo di fare un ulteriore passo in avanti e di ragionare sulla ratio delle misure nel loro insieme. Siamo sicuri che l’aiuto di 80 euro alle famiglie meno abbienti sia la risposta? La “trovata” del Governo, infatti, a pensarci bene disincentiva indirettamente il lavoro delle donne che vedono più “conveniente” rinunciare all’occupazione, stare a casa (evitando così la spesa della baby sitter) e “godere” dell’aiuto di Stato. E il risultato si vede: il tasso di partecipazione femminile al lavoro in Italia è ancora bloccato sotto il 50%. E, ancora dati Istat, cresce la quota delle donne, presumibilmente lavoratrici, che decidono di non avere figli: quasi una su quattro. Ecco perché avrebbe potuto avere un senso una misura più efficace per aiutare proprio le donne nei nuclei meno abbienti a rendere il lavoro compatibile con la gestione della famiglia.
Tutto fermo – Quel che pare, insomma, è che la famiglia torni utile solo per fini elettorali. Basti d’altronde visitare il sito del dipartimento per le politiche della famiglia per rendersene conto. Tante azioni, tutte lodevoli. Come quella per la “conciliazione tra lavoro e famiglia”. Peccato che le ultime convenzioni attivate dal Governo portino la data del 30 luglio 2013. C’è, ancora, il “Piano straordinario dei servizi socio-educativi per la prima infanzia”. Ma l’ultima intesa siglata con gli asili nido è addirittura del 2010. E poi, infine, c’è il capitolo della burocrazia. Perché se è vero che i fondi vengono assegnati dallo Stato alle Regioni, è altrettanto vero che i ritardi spesso si accumulano. Per dire: dal sito istituzionale si evince che il decreto di riparto per il 2017 ancora non è stato approvato. A tutto questo, infine, si sommano le responsabilità delle amministrazioni regionali. I dati parlano per tutti: dal 2014 al 2016 sono stati stanziati 17,5 milioni di euro “per finanziare attività a favore della natalità”. Impegni importanti, non c’è che dire. Peccato, però, che in questi anni che sia stato erogato l’85% del totale dei finanziamenti previsti, ovvero 15 milioni. E per quale motivo? Semplice: per gli anni 2015 e 2016 rimangono da erogare le risorse alle Regioni Campania, Lazio e Basilicata che – udite udite – al momento non ne hanno fatto richiesta. E come se no bastasse, secondo gli ultimi dati (giugno 2017), solo 12 Regioni hanno ricevuto i fondi delle intese 2014, 2015 e 2016 e sono riusciti ad assegnarli. Le altre, invece, ancora sono nella fase della programmazione. Tanto non servono: in Italia nessuno più fa figli.
Twitter: @CarmineGazzanni