di Stefano Iannaccone
La famiglia naturale prima di tutto. Almeno fino a che si parla di unioni civili. Perché i dati Istat sono impietosi: con questo ritmo, entro 90 anni, la popolazione fertile scenderà a zero. “Sembrerà banale, ma si fanno pochi figli a causa delle incertezze sul futuro”, spiega a La Notizia Pino Pisicchio, parlamentare di lungo corso e ora presidente del Gruppo Misto di Montecitorio. E le politiche del governo a sostegno dei nuclei familiari destano perplessità in quasi tutte le forze presenti in Parlamento. I timori non montano solo tra le opposizioni: anche in maggioranza l’Area Popolare (Ap) di Angelino Alfano ha fatto sentire la propria voce. I limiti dell’azione di Palazzo Chigi sono denunciati nelle nove mozioni depositate alla Camera e già in calendario per la prossima settimana. Tutte, seppure con strategie diverse, vogliono impegnare a… #cambiareverso, come direbbe Matteo Renzi.
L’ANALISI – “La questione si affronta migliorando il welfare. È necessario garantire i diritti, muovendosi in un senso contrario rispetto alla direzione presa”, ragiona Pisicchio. Certo, il governo ha rifinanziato il bonus bebè (80 euro al mese per 3 anni), messo a disposizione i fondi per la family card (che garantisce sconti a nuclei con almeno tre figli) e predisposto il riconoscimento del congedo parentale per i neo papà. “Ma non servono le misure assistenziali. C’è la necessità di un intervento complessivo sul welfare”, attacca Eleonora Bechis, deputata di Alternativa Libera-Possibile. Il capogruppo di Ap alla Camera, Maurizio Lupi, ha messo nero su bianco la richiesta di una “revisione del regime fiscale della famiglia, che operi da efficace stimolo alla genitorialità, rinforzando le politiche attive di sostegno alla conciliazione di lavoro e doveri genitoriali”. Segno che qualcosa non va sulle nuove nascite. “Altro che famiglia. Nella legge di Stabilità sono stati tagliati gli stanziamenti per gli asili nido. Senza dimenticare che si gioca allo scaricabarile, dando la responsabilità ai Comuni lasciati senza soldi”, incalza a Eleonora Bechis.
ASILI SENZA NIDO – Sugli asili nido i dati sono impietosi. “La mappa nazionale dei servizi presenta enormi sperequazioni regionali. La copertura dei servizi per l’infanzia è al 24,8% in Emilia Romagna, in Campania è al 2%”, sostiene nella sua mozione Marisa Nicchi di Sinistra italiana. E, anche nei casi più ‘virtuosi’ lo standard europeo, individuato a Lisbona, è lontano: l’Ue aveva indicato il 33% da raggiungere entro il 2010, oltre 5 anni fa. Numeri alla mano, il nostro Paese dovrebbe creare ulteriori 1.700 nidi e scuole dell’infanzia. Anche da Forza Italia, con Roberto Occhiuto, arriva una denuncia specifica: “La spesa pubblica per servizi alla famiglia, comprensiva dei trasferimenti in denaro, della spesa per fornitura di servizi e di agevolazioni fiscali, è l’1,3% del Pil”. Solo Grecia e Spagna fanno peggio nell’Ue. La proposta forzista è quella di istituire il quoziente familiare. “Costa circa 15 milardi di euro, ma sarebbe il caso di introdurlo gradualmente”, dice il deputato azzurro. Il dato Istat sui figli è stato un allarme. “Nel 2013 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012. Il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dal 2008”, racconta l’istituto. La parlamentare del Movimento 5 Stelle, Giulia Di Vita, è tranchant: “Nella maggioranza non ci sono idee. Come M5S abbiamo presentato emendamenti alla mozione Lupi, che peraltro era anche provocatoria con le unioni civili. E proponiamo il credito di imposta per le donne lavoratrici con figli minori, insieme alla revisione dei parametri Isee”. Tutte ricette che confermano un fatto: mancano politiche per la famiglia.
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