Sulla stagione dei veleni alla Procura di Milano si profila un processo. Gli inquirenti di Brescia, competenti a indagare sui magistrati milanesi, hanno chiuso le indagini preliminari e si preparano così a chiedere il rinvio a giudizio dei colleghi Piercamillo Davigo, Paolo Storari, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, mentre hanno chiesto al gip l’archiviazione dell’indagine per il procuratore milanese Francesco Greco.
LO SCENARIO. Secondo la Procura di Brescia non ha commesso alcun reato il procuratore Greco nella gestione delle indagini sulla cosiddetta “Loggia Ungheria” (leggi l’articolo), la presunta loggia massonica al centro delle dichiarazioni fatte dall’avvocato Piero Amara. Per Greco, indagato con l’accusa di rifiuto d’atti d’ufficio nel luglio scorso, dopo l’interrogatorio del pm Storari, si va così verso l’archiviazione. Diversa la posizione degli altri magistrati indagati.
A partire proprio dal pm Storari, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio (leggi l’articolo) per aver consegnato i verbali di Amara all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo (nella foto), a sua volta indagato per la stessa ipotesi di reato. Storari si è difeso sostenendo di essersi rivolto al collega del Consiglio superiore della magistratura come forma di “autotutela” di fronte al presunto immobilismo di Greco, che avrebbe ignorato le sue numerose richieste di procedere con indagini tempestive sulla “Loggia Ungheria”, necessarie per trovare riscontri alle rivelazioni dell’avvocato siciliano, ma non ha convinto gli inquirenti di Brescia.
Quest’ultimi si preparano inoltre a chiedere un processo anche per il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro, accusati di rifiuto d’atti d’ufficio per la gestione del processo Eni Nigeria, ritenendo che siano stati nascosti documenti e video favorevoli agli imputati. Ancora aperte infine le indagini sul procuratore aggiunto Laura Pedio.
LE CARTE. Secondo la Procura di Brescia, Davigo avrebbe violato “i doveri inerenti alle proprie funzioni” e abusato “della sua qualità di componente del Csm”, pur avendo “l’obbligo giuridico ed istituzionale” di impedire “l’ulteriore diffusione” dei verbali di Amara e ne “rilevava il contenuto a terzi”, consegnandoli senza alcuna “ragione ufficiale” al consigliere del Csm Giuseppe Marra.
Gli stessi verbali sarebbero inoltre stati consegnati anche al vicepresidente David Ermini, che “ritenendo irricevibili quegli atti” immediatamente “distruggeva” la “documentazione”. Davigo, inoltre, avrebbe ricevuto “una proposta di incontro privato” da parte del pm Storari, “rassicurandolo di essere autorizzato a ricevere copia” di quei verbali dell’ex legale esterno dell’Eni e dicendogli che “il segreto investigativo su di essi non era a lui opponibile in quanto componente del Csm”. Avrebbe così “rafforzato il proposito criminoso di Storari” e sarebbe entrato “in possesso del contenuto di atti coperti da segreto investigativo”, al di fuori di una “procedura formale”, non essendo applicabile quella descritta da due circolari del ‘94 e ‘95 di Palazzo dei Marescialli, mentre Storari avrebbe dovuto “investire organi istituzionali competenti a risolvere questioni attinenti alla gestione dell’indagine”.
Davigo avrebbe poi dato “informalmente e senza alcuna ragione ufficiale” quei verbali a Marra, “ma al solo scopo di motivare la rottura dei propri rapporti personali con il consigliere Sebastiano Ardita”, incaricandolo “di custodirli e di consegnarli al comitato di Presidenza, qualora glieli avesse richiesti”.