di Aldo Forbice
Si farà alla fine il governissimo? Non è ancora chiaro, e forse il nodo non si scioglierà neppure con l’incontro tra Bersani e Berlusconi di ieri pomeriggio. Il confronto con il leader del Pdl sembra sia stato imposto a Bersani più dalle pressioni esterne ed interne (Renzi, Franceschini, D’Alema, ecc.) che dalle proprie convinzioni. Come dire: volevate l’incontro col Cav? Lo abbiamo fatto, ci siamo accordati sui nomi da candidare per il Quirinale, ma per il governo di larghe intese non se ne parla; è meglio attendere il nuovo presidente. E poi, ripete sino alla noia il leader del Pd: “Sono ancora incaricato, anche se il mandato non è pieno”. Inutile replicare (è stato fatto da più parti, Napolitano compreso, sino alla noia) che il governo Bersani non ha visto la luce perché non esiste la maggioranza (al Senato). L’emiliano testardo però non demorde, convinto che, se non si vuole tornare a brevissimo termine alle urne, toccherà a lui fare un governo. Alla fine – Bersani è pronto a scommetterci – la spaccatura del M5S avverrà e almeno una ventina di senatori riuscirà ad agguantarli: basterà promettergli la rielezione.
La prospettiva di maggior respiro resta però un monocolore, anche di minoranza, come quello di Andreotti del 1976, appoggiato dal Pci. Ma quello di oggi su quali voti si potrebbe sostenere? Semplice: con un programma di pochi punti, pensa sempre il segretario Pd, si conquisterebbero l’appoggio della Scelta civica di Monti, del Pdl e persino dei grillini.
Il partito di Berlusconi e Alfano si lascerebbe convincere ad accettare questa soluzione per un governo di breve termine ? E’ molto probabile, per almeno due motivi. Il primo: non andare alle urne a giugno.
Votare a così stretto giro potrebbe infatti far crescere la delusione dei cittadini nei confronti della politica e alla fine rafforzare il movimento grillino. Il secondo motivo è “scaricare” ogni responsabilità delle cose fatte male o non fatte sul partito di Bersani.
Certo, l’ostinata resistenza di Pier Luigi non può essere ascritta a negligenza, menefreghismo o disinteresse per i gravi danni che si stanno provocando al Paese a quasi due mesi dalle elezioni.
Il milione di licenziati del 2012, con la conseguente impennata della disoccupazione (con quella giovanile che ha toccato il 37%), l’ininterrotta moria di piccole imprese in tutti settori produttivi, l’incremento dei tassi di povertà e del calo del potere d’acquisto delle famiglie, dovrebbe spingere tutte le forze politiche a mettere da parte gli interessi particolari per fronteggiare l’emergenza con un “governo di salute pubblica”, in grado di approvare rapidamente provvedimenti d’urgenza (sul piano fiscale, per incentivare le nuove assunzioni, per accelerare il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, ecc.). E invece la lentocrazia la fa da padrona. Ciò significa che la strategia della dirigenza Pd sembra rispondere a precisi obiettivi, che non si conciliano col disegno di Napolitano (ormai in disarmo, visto che gli mancano pochi giorni all’abbandono del Quirinale) e delle altre forze politiche.
Tutta l’attenzione è ora rivolta alla “battaglia” presidenziale. I nomi che il Pd propone sono i soliti: Marini, Amato, Prodi. Ma non è escluso che, visto il can can mediatico che viene fatto da qualche settimana su “una donna al Quirinale”, venga presa in considerazione anche la candidatura di Emma Bonino, lanciata da Mara Carfagna. Quasi sicuramente però neppure la portavoce Pdl della Camera sa chi sia effettivamente questa donna radicale, al di là dell’immagine che lei stessa si è costruita abilmente negli ultimi anni, con la complicità di giornalisti simpatizzanti e potenti amici (nel campo economico, della finanza e della moda). Lo fa oggi, con un libro appena uscito, l’ex tesoriere del partito radicale, Danilo Quinto (“Emma Bonino, dagli aborti al Quirinale?”, edizioni Fede & Cultura). Quinto ha frequentato per venti anni l’on. Bonino, insomma è uno che “l’ha vista da vicino”, dai tempi in cui la dirigente radicale promuoveva e procurava in prima persona aborti. In una intervista del 1975 la leader del Pr dichiarava: “Si inizia a fare aborti con una pompa di bicicletta, un dilatatore di plastica e un vaso dentro cui si fa il vuoto e in cui finisce il contenuto dell’utero. Io uso un barattolo da un chilo che aveva contenuto della marmellata”. Tutta la vita politica trascorsa in Italia (ma anche in Egitto, a spese del parlamento europeo) per propagandare l’uso della droga, l’omosessualità e l’eutanasia in nome dei diritti civili. Vorreste una donna così a rappresentare il popolo italiano al Colle?