Che non sia stata una settimana felice e facile per Matteo Salvini, è dimostrato dal fatto che, come raccontano le cronache locali in Emilia Romagna, tanti e tanti appuntamenti per la chiusura della campagna elettorale sono stati annullati. Salvini era atteso per un ultimo tour elettorale, a Ferrara, con possibile passaggio a Modena e Lugo, dove il partito si era già rivolto al prefetto affinché il comizio si svolgesse in un clima sereno. E invece, a parte un brave passaggio a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, il leader leghista ha cambiato agenda, annullando gli appuntamenti.
Le malelingue dicono che, dopo i fatti di Mirandola e la pessima figura del ministro che insisteva sui “porti chiusi” quando il presunto attentatore – un giovane marocchino – doveva essere già rimpatriato, il leader leghista abbia preferito evitare eventuali fischi e fiaschi. Se poi ci si aggiungono gli ormai consueti (e geniali) striscioni che accompagnano il ministro in ogni sua tappa, si capisce perché la Lega, dopo l’evento-flop di Milano la scorsa settimana, abbia deciso di cancellare appuntamenti ed evitare piazze importanti dove il rischio è non riempire e collezionare gaffe. Molto meglio dedicarsi ai video su Facebook dove, senza contraddittorio, si può dire tutto e il contrario di tutto.
GLI ASSI NELLA MANICA. A proposito dei video: nella campagna elettorale della Lega hanno assunto un ruolo prioritario perché, di fatto, solo vedendo questi si capisce quale sia il programma della Lega. Strano ma vero: non esiste sul sito del Carroccio un programma ufficiale scaricabile e consultabile. Un caso unico sul panorama italiano e, forse, europeo. Bisogna, dunque, far riferimento a post, video, dirette social e comizi per capire cosa voglia fare il Carroccio in Europa. Quel che pare certo, come detto dallo stesso Salvini ospite a Mattino Cinque due giorni fa, è che l’obiettivo è “ribaltare le regole europee”, poiché le politiche degli ultimi 10 anni hanno portato solamente a precarietà e povertà. Al di là dell’annuncio-spot, però, non si capisce come possa tradursi questo ribaltamento nella pratica. E l’assenza di un programma chiaro non aiuta in quest’analisi.
Centrale, invece, è stata in questa campagna elettorale la questione migranti connessa, com’è ovvio in casa Lega, al tema della sicurezza. Insomma, i cavalli di battaglia risultano sempre gli stessi, in Italia come a Bruxelles. Fondamentale per il Carroccio, pertanto, è giungere a un’azione comunitaria per la gestione dell’immigrazione di modo che il peso dei flussi non cada solo sull’Italia. Non è un caso, dunque, che la Lega abbia premuto a spron battuto sul decreto Sicurezza-bis: al di là di un eventuale effetto sulle politiche italiane, l’obiettivo – neanche troppo mascherato – era sponsorizzare questo provvedimento a fini elettorali. E, dunque, in vista della formazione del nuovo Parlamento europeo. Resta, però, un fatto: al di là del Salvini-social (non è un caso che, come rivela una ricerca di Facebook, il ministro dell’Interno è stato quello che ha speso di più in inserzioni pubblicitarie sul social network), gli altri candidati sono rimasti nell’ombra.
FRATELLI COLTELLI. Resta, infine, il nodo alleanze, altro tema su cui, al di là delle parole, c’è poca chiarezza. Malgrado in casa leghista le elezioni siano dipinte come un derby fra sovranisti e “partiti tradizionali”, le variabili in gioco sono tante e i nodi da sciogliere finanche troppi: cosa farà il Ppe? Che risultato globale otterranno gli euroscettici? Ma ammettiamo che alla fine Salvini crei un gruppo che contempli anche Marine Le Pen e Viktor Orban, senza dimenticare i neofascisti tedeschi dell’Afd: quanta garanzia c’è che questi “alleati” siano disposti a collaborare nella redistribuzione dei migranti? Nessuna. Anzi: alcuni di costoro – come il partito della libertà austriaco (FPÖ) – hanno già fatto intendere come le frontiere non si apriranno. In perfetto stile sovranista. Senza dimenticare un ultimo, curioso dettaglio: a parte Italia, Francia e Germania, in 23 Stati su 28 gli alleati di Salvini non eleggeranno più di due deputati per ciascun Paese. Un po’ pochi per ribaltare l’Europa come vuole Salvini.