Le elezioni europee? Un generale con un’ossessione per le diversità, un ex sottosegretario alla cultura invischiato in brutte storie di quadri scomparsi e costretto alle dimissioni dalla stessa leader che ora lo infila in lista, un leader di partito che se n’è andato da Bruxelles per andare in Senato candidandosi a Roma per poi dimettersi e che ora si ricandida per Bruxelles ma non ci andrà, una capa di governo capolista per marketing, un ex presidente del Consiglio che viola il patto con i suoi alleati e si infila in lista all’ultimo secondo all’ultimo posto perché così si nota di più: l’unica vera sostituzione etnica in Italia non arriva dai barconi sul mare ma dalle liste elettorali per le prossime elezioni europee. Le candidature dei partiti italiani assomigliano molto poco al Paese che siamo, ma dicono di una società politica che rappresenta sé stessa, i suoi tic, le sue sofferenze elettorali.
I tre candidati capolista dappertutto alle elezioni europee sono la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il leader di azione Carlo Calenda e il fumantino Cateno De Luca (con il suo Sud chiama Nord). La leader di Fratelli d’Italia rinuncia al marchio del suo cognome Meloni (per cui aveva pensato a candidare la sorella Arianna) e punta tutto sull’essere “Giorgia” amica del popolo. L’onnipresenza in tutte le circoscrizioni ribadisce ciò che si sa da tempo: Fratelli d’Italia ha un serio problema di classe dirigente e la sfiducia di Meloni acuisce il problema. Nelle liste dei meloniani non manca comunque il familismo. Sfumata Arianna Meloni si è trovato un posto per il nipote del ministro Guido Crosetto eletto tre anni fa consigliere comunale a Torino con una campagna elettorale che puntava sul celebre cognome scritto a caratteri cubitali senza bisogno né del nome né di una foto. Giovanni Crosetto racconta che il celebre zio gli dà “importanti consigli”, oltre al cognome. Sarà. Meloni ha trovato un posto anche per il fratello del ministro Ciriani, sindaco di Pordenone. Nella grande famiglia di Fratelli d’Italia corre anche l’ex sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi. Era il 9 febbraio quando Meloni lo convinse alla dimissioni mentre infuriava la polemica su un dipinto scomparso da una villa e ricomparso nella collezione personale dell’ex sottosegretario e dopo la bacchettata dell’Antitrust che aveva definito “incompatibili” le attività del critico d’arte. Tre mesi dopo Sgarbi, inopportuno per un posto nel governo, viene ritenuto potabile per un seggio a Bruxelles.
Le candidature dei partiti italiani assomigliano molto poco al Paese che siamo ma dicono di una società politica che rappresenta sé stessa, i suoi tic, le sue sofferenze elettorali
A proposito di personalismi: il leader di Azione Calenda lascia solo il Nord-ovest alla compagna di partito ed ex ministra Elena Bonetti. Anche il presidente di Forza Italia Antonio Tajani e il leader di Italia viva si candidano in 4 circoscrizioni delle 5 disponibili. La segretaria del Pd Elly Schlein e la leader di +Europa sono candidate in 2 circoscrizioni. Leaderismo anche nei simboli, ovviamente. I nomi di Meloni, Calenda e De Luca campeggiano nei propri simboli elettorali. Il nome Bonino fa capolino nel contrassegno di Stati uniti d’Europa che tiene insieme +Europa e Italia viva. Forza Italia neanche per queste elezioni europee riesce a rinunciare al nome di Silvio Berlusconi, con l’effetto di una lunga seduta spiritica.
Vorrebbe essere “società civile” il generale dell’esercito Roberto Vannacci candidato nella Lega di Salvini. La tentata mostrificazione del militare xenofobo è riuscita nella mirabile impresa di elevarlo a simbolo. Alla sua prima uscita ufficiale del duo Vannacci-Salvini due giorni fa a Roma mancavano quasi tutti i dirigenti della Lega. Quanto Vannacci possa rappresentare il Paese è tutto da capire, viste le prese di distanze dei suoi stessi compagni di partito e l’indignazione di gran parte dei cittadini.
Sono di un’altra “società civile” le proposte che si ritrovano nelle altre liste. Nel Pd spazio ai giornalisti Marco Tarquinio e Lucia Annunziata insieme a Cecilia Strada e anche qui le posizioni (considerate troppo pacifiste) dei candidati esterni agitano il partito. I civici scelti da Giuseppe Conte e dalle primarie interne per il Movimento 5 stelle sono il direttore (uscente e dimissionario) de La Notizia Gaetano Pedullà, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, l’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico e l’ex capitana della nazionale femminile di calcio Carolina Morace. Alleanza Verdi Sinistra punta sull’insegnante Ilaria Salis incarcerata in Ungheria e sui ritorni dell’ex sindaco di Roma Ignazio Marino e del sempiterno Leoluca Orlando. Alessandro Cecchi Paone ha scelto di candidarsi con Stati Uniti d’Europa, il capitano Ultimo la lista di Cateno De Luca mentre la lista pacifista di Santoro (sempre che venga ammessa) punta sull’attore Paolo Rossi e sullo scrittore Nicolai Lilin.
Le cosiddette candidature “civiche” agitano Lega e Pd
Nel Partito democratico fa discutere anche la quinta candidatura consecutiva di Patrizia Toia, all’Europarlamento ininterrottamente dal 2004. “Ci sarò con l’energia e la convinzione che avete visto negli anni”, ha scritto Toia sul suo profilo Facebook. La deroga è stata votata “con la regola del silenzio assenso” in una votazione lampo convocata solo un paio d’ore prima. E a proposito di politici di lungo corso nella lista Stati Uniti d’Europa spicca il nome di Sandra Mastella, moglie del sempreverde Clemente. Sandra di cognome farebbe Lonardo ma di questi tempi conviene usare il cognome più comodo, con buona pace delle battaglie femministe. Tra i partiti che non hanno raccolto le firme per presentarsi alle elezioni c’è la strana coppia Alemanno-Rizzo, Alternativa popolare del sindaco di Terni Bandecchi, Forza Nuova, i Pirati e il Partito Animalista-Italexit che fu di Paragone. Quanto le liste possano assomigliare al Paese lo sceglieranno gli elettori l’8 e il 9 giugno.