Nel cuore del Mediterraneo, su acque ormai troppo spesso segnate da drammi inumani, si è consumata una tragedia che Sea Watch – l’organizzazione non governativa tedesca che da anni monitora e soccorre i migranti alla deriva – non vuole permettere che passi sotto silenzio. È il 2 settembre 2024 quando ventuno persone perdono la vita in un naufragio a poche miglia da Lampedusa, nell’attesa di un intervento che non arriverà. Sea Watch ha presentato ieri alla Procura di Agrigento un esposto contro le autorità italiane, accusandole di aver omesso i soccorsi.
Secondo il rapporto dell’organizzazione, l’intervento sarebbe stato richiesto per ore ma gli operatori della Guardia costiera italiana hanno negato il soccorso immediato, attendendo invece che fosse la cosiddetta Guardia costiera libica ad intervenire. Risultato: le persone a bordo di quella barca, che non aveva altra speranza che vedere una nave all’orizzonte, sono diventati numeri in più da contabilizzare nelle statistiche dei morti nel Mediterraneo.
Attacchi alle Ong e diritti umani ignorati: ora ci si mette anche Musk
A queste accuse, che toccano il cuore della gestione dei soccorsi, si è aggiunto oggi Elon Musk che con un tweet accusatorio, ha definito gli attivisti di Sea Watch “criminali”. Il fondatore di Tesla e proprietario della piattaforma X (e ora nella squadra di governo di Trump) ha insinuato che le Ong, come Sea Watch, non stiano salvando vite, ma alimentando un sistema illegale di immigrazione. La Ong non si è lasciata intimidire. Ha risposto a Musk con parole nette, ricordando che il vero crimine è l’abbandono in mare e l’omissione di soccorso: “Chi crede che il nostro dovere morale di soccorrere vite sia un crimine, non conosce la legge internazionale”. “Non ci facciamo intimidire da bulli antidemocratici – scrive Sea Watch – che minacciano chi rispetta i diritti umani, giudici o Onf. Ci chiama criminali. Il nostro unico “crimine” è testimoniare le brutali politiche in mare, come l’omissione di soccorso del 2 settembre, costata la vita a 21 persone”.
L’attacco all’Ong è doppio: da un lato quello dei governi, sempre più insofferenti di fronte alla supplenza che le organizzazioni non governative esercitano rispetto a quelli che dovrebbero essere compiti degli Stati, e dall’altro quello di figure pubbliche di rilievo internazionale che alimentano accuse già smontate da diverse sentenze. Di fronte a tutto questo, Sea Watch rilancia l’accusa: la violazione dei diritti umani è un peso che non è possibile ignorare.
Il decreto Paesi Sicuri: sulla Nigeria tutto da rifare
Intanto, dopo il decreto Paesi Sicuri varato dal governo, si apre per i richiedenti asilo provenienti dalla Nigeria la possibilità di reiterare le istanze precedentemente respinte. Il Paese africano, indicato inizialmente nel decreto interministeriale come Paese sicuro, è stato depennato dall’elenco proprio con l’adozione del decreto legge 158, con il quale l’esecutivo ha riproposto, aggiornandola, la lista dei Paesi di provenienza per i quali è possibile espletare le procedure accelerate prendendo atto della sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre sorso. Ma ora, i cittadini nigeriani che sono stati assoggettati a procedura accelerata sulla base del precedente decreto interministeriale, potrebbero richiedere, proprio in base al nuovo decreto legge, il riesame dell’istanza con procedura ordinaria. Come ha stabilito un decreto del 7 novembre scorso del Tribunale di Napoli che ha infatti accolto l’istanza di sospensione – reiterata da un richiedente nigeriano – che era stata rigettata in prima istanza, prima della pubblicazione del nuovo decreto Paesi sicuri.
Mentre Sea Watch porta avanti la sua battaglia per la verità e la giustizia, il decreto sui Paesi sicuri mostra crepe evidenti nei tribunali italiani e le deportazioni in Albania rimangono bloccate in attesa della Corte di giustizia europea. La narrazione ufficiale che vorrebbe dipingere la migrazione come un problema di sicurezza interna rischia di sgretolarsi sotto i colpi delle sentenze, mentre sullo sfondo rimane la tragedia umana di chi continua a morire nel Mediterraneo.