La differenza emerge sin dalla scelta delle parole “assegno” versus “reddito”, a marcare una discontinuità tra il sostegno statale agli indigenti non occupabili e la vituperata misura pentastellata che la Meloni si era ripromessa di abolire (come poi effettivamente ha fatto). Peccato che proprio le parole – che sappiamo non essere mai mero orpello – tradiscano l’obiettivo dichiarato, perché la prima cosa che si ottiene con l’assegno di inclusione è l’esclusione di 900mila famiglie che non sanno come andare avanti. La storia di un padre che in qualità di ex percettore di Reddito di cittadinanza figura con un Isee troppo alto rispetto alla soglia per ottenere l’Adi è solo uno di quei tanti “esodati” che non sapranno di cosa vivere. Senza con ciò lasciare intendere che le cose per gli altri vadano meglio.
La prima cosa che si ottiene con l’assegno di inclusione è l’esclusione di 900mila famiglie che non sanno come andare avanti
La riduzione della platea dei beneficiari viaggia di pari passo con il taglio del contributo economico, per cui coloro che – superata la macchinosissima trafila burocratica – vedranno approvata la richiesta, ci sarà una mancetta che nella sostanza cambierà ben poco. Però, ci viene raccontato che per gli occupabili che in questi mesi hanno frequentato i corsi di formazione si spalancheranno le porte del mercato del lavoro. A crederci non è nemmeno più il governo, ammesso abbia mai ritenuto la misura efficace, infatti non spende una parola sull’andamento di questa formazione partita a settembre.
Tutto questo perché il precariato e il lavoro povero, con salari fermi da trent’anni, condizionano la vita di lavoratori minacciandone la dignità con paghe da fame e – finché non si interviene su questi aspetti – puoi fare tutti i corsi di formazione del mondo, ma ritroverai quelle stesse persone nella nutrita schiera dei poveri. Che tu sia lavoratore o no spesso in Italia fa poca differenza rispetto al superamento della soglia di indigenza. La Meloni che ad Atreju ci ricorda come tra le sfide governative prioritarie ci sia il superamento dell’inverno demografico, ovvero fare più figli, dovrebbe spiegare come possa raggiungere l’obiettivo se non si interviene in modo sistemico sul lavoro senza limitarsi a sventolare la proroga del taglio del cuneo fiscale per un anno come il più grande degli interventi.
Per giunta nel solco di Draghi (nemmeno può intestarselo) e temporaneo (non doveva essere “per sempre”?). E a passarsela bene non sono nemmeno quei lavoratori grazie alla cui vocazione e professionalità vediamo garantito il diritto alla salute: gli operatori del Ssn Finiti nel dimenticatoio dopo l’emergenza Covid, vivono con turni pesantissimi e stipendi miseri che li spingono per necessità ad abbandonare il pubblico in favore del privato. E a farne le spese chi è? Ancora una volta il fruitore del servizio: il cittadino.
Nessuno ha pensato che la Meloni potesse fare miracoli nel risolvere mali decennali, ma almeno speravamo che non aggravasse con le sue politiche una già difficile situazione. Ma lei va avanti, forte della sua narrazione fondata sugli illusori pilastri della coerenza e dell’integrità, confidando di scavallare decorosamente le europee così da dare nuova linfa vitale alla sua retorica. Ma poiché la realtà è più forte di tutto e prima o poi anche il governo sarà costretto a vederla, auguriamo alla Meloni un Natale da Presidente “integra e coerente” magari gustando una fetta del pandoro Ferragni che tanto ha occupato i suoi pensieri.