Non guardo più telegiornali e talk show: giornalisti insipienti e incapaci di parlare un buon italiano. Ascoltarli è una perdita di tempo.
Lucrezia Brunelli
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Gentile lettrice, a chi lo dice? Rimpiango la tv del passato, con Bontà loro e il Costanzo Show o le interviste in prima serata a Ungaretti, Quasimodo, Pasolini. La tv era in bianco e nero e io ero un bambino, ma anche le grigie tribune elettorali d’antan oggi paiono capolavori civici in mezzo a tanti beceri talk show. Mi riferisco anche al rozzo uso dell’italiano. Prenda l’ex fidanzato di Palazzo Chigi, il Giambruno, e quel suo fraseggio sgangherato: “Le ragazze hanno il diritto di ubriacarsi”. Ma non si chiama “diritto”, si chiama “libera scelta” ed è tutt’altro concetto. La Rai non è da meno, anzi. I suoi telecronisti ai mondiali di tuffi in Giappone commentarono la statura delle atlete dicendo che “però, messe orizzontali, sono tutte alte uguali”. Il radiocronista di Radio1 durante Reggiana-Cremonese celebrò il “meraviglioso gol” di Manolo Portanova, condannato a 6 anni in primo grado per stupro di gruppo, dicendo che “non lo volevano in tanti, soprattutto le tifose. Ma un bel gol mette a tacere le polemiche”. Quindi un gol annulla i reati? E i tifosi maschi sono tutti propensi allo stupro? Ci si chiede dove e come cotanti giornalisti siano raccattati dalle maggiori emittenti, quando ci sono migliaia di ragazzi bravissimi ma disoccupati o destinati al precariato a vita. La mancanza di meritocrazia è la morte dell’Italia. È così non da oggi, ma l’attuale governo, che si distingue per familismo e amichettismo, ci mette del suo.
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