“L’abolizione dell’ergastolo ostativo era in testa al Papello di Riina nella trattativa Stato-Mafia. Ora i boss questa vittoria la ottengono da Strasburgo”. All’indomani della decisione dei giudici di Strasburgo con cui è stato inflitto un colpo alla normativa antimafia italiana, non usa giri di parole l’eurodeputata grillina Sabrina Pignedoli.
La Corte Ue ha dichiarato che l’ergastolo ostativo, che impedisce al condannato di usufruire di benefici sulla pena se non collabora, viola i diritti umani. Condivide questa decisione?
“No assolutamente. Non credo che la Corte di Strasburgo abbia preso questa decisione per fare un favore volontario ai mafiosi. In ogni caso resta il fatto che per loro è un grandissimo regalo. Secondo me c’è stata inconsapevolezza, da parte dei giudici, sull’effetto deleterio che questa decisione avrà sulla normativa antimafia”.
Gli effetti per l’Italia potrebbero essere dirompenti: rischia di saltare il regime del 41bis, il cosiddetto carcere duro. Un bel problema, non trova?
“È un problema enorme e sotto vari punti di vista. Non solo sotto quello del regime carcerario che impedisce ai boss di parlare con persone all’esterno e quindi di continuare anche dal carcere la loro attività, fenomeno che proprio il 41bis cercava di contenere. La questione è soprattutto relativa al fenomeno del pentitismo perché venendo a mancare l’ergastolo ostativo, quindi i relativi benefit, diventa molto difficile che qualcuno che fa parte di un’organizzazione criminale possa decidere di collaborare con la Giustizia. Intendiamoci, non è automatico che la decisione della Corte porti alla scarcerazione di tutti i condannati per mafia sottoposti all’ergastolo ostativo ma se l’Italia non si adegua a questa decisione, riceverà pesanti sanzioni”.
In pratica l’Europa ci sta dicendo che un mafioso che ha sciolto nell’acido un bambino o piazzato tritolo per destabilizzare lo Stato, va trattato come un qualsiasi altro criminale. Come si spiega questa interpretazione?
“È una bella domanda. Credo che ci sia grande incapacità di capire il fenomeno mafioso al di fuori dell’Italia. È un problema culturale e sociale perché la mafia all’estero viene vista come un problema esclusivamente italiano. Bisogna capire, invece, che lo è per tutti. Tra l’altro non esiste solo la mafia nostrana, ce ne sono altre come quella turca o cinese che si sono già insediate in vari Paesi europei. Detto questo, bisognerebbe creare una normativa antimafia europea ma se non lo si fa, almeno ci lascino quella che abbiamo già in Italia”.
A suo parere, i giudici Ue hanno sottovalutato il fenomeno della criminalità organizzata in Italia ignorando le motivazioni che hanno spinto il nostro Paese a dotarsi di questo regime detentivo?
“Certo che si. Ci sono persone che sono morte per questo, rendiamocene conto. Secondo me ci voleva più cautela”.
Quanto disposto dalla Corte di Strasburgo è in contrasto con quanto deciso, giusto lunedì, dalla Cassazione italiana. La Suprema Corte, infatti, ha bocciato la richiesta di domiciliari avanzata dall’ex boss Giovanni Brusca, peraltro condannato a 30 anni di carcere per mafia e non all’ergastolo, perché non si è mai ravveduto. Come si esce da questo corto circuito?
“Il lavoro da fare è tanto. Negli anni precedenti dal governo italiano non c’è stata una presa di posizione così forte contro le mafie, a differenza di quanto sta facendo il Movimento. Ora dovremo sensibilizzare le istituzioni e i cittadini europei per diffondere una cultura antimafia comunitaria. Poi toccherà al ministro Bonafede modificare l’ergastolo ostativo senza comprometterne l’efficacia, venenendo incontro alla decisione di Strasburgo”.