L’attività di riscossione di Equitalia sarà anche cresciuta di 2,5 miliardi nel biennio 2015-2016 rispetto ai due anni precedenti, ma quella dei debiti degli italiani nei confronti del fisco rimane una zavorra sempre più pesante sulle spalle dell’Italia. O per dirla con le parole dell’economista Claudio Borghi “un enorme campo di battaglia”: “Le cifre diffuse – ha detto a La Notizia il consigliere regionale della Lega – non sono altro che l’elenco dei morti seminati dalla crisi”.
Ventuno milioni di contribuenti in debito col fisco. Ma il 53% per somme che non superano i mille euro. Come si recuperano questi fondi?
Bisogna vedere se ci interessa recuperarli. Senza dimenticare, tra l’altro, che questi dati sono una fotografia dei debiti nei confronti dello Stato ma che ne esiste un’altra montagna accumulata per lo più nei confronti delle banche. Ma la questione a monte è un’altra.
Quale?
Si continua a parlare a sproposito del problema del debito pubblico quando dovrebbe essere evidente a tutti che una delle cause principali della crisi è il debito privato. L’esempio delle banche è il più calzante: di fronte a debitori privati indebitati che non restituiscono il denaro agli istituti di credito la soluzione geniale è stata incenerire i risparmi. Non possiamo, quindi, meravigliarci di fronte al report di Equitalia. Che, tra l’altro, non è del tutto corretto.
Si spieghi.
Nella torta dei debiti considerati irrecuperabili sono ricompresi soggetti falliti, deceduti e nullatenenti per un valore di circa 327 miliardi. Come se poi gli altri 384 rispetto ai quali Equitalia ha già tentato invano una riscossione non rimandassero ugualmente a persone fallite o nullatenenti. Insomma, siamo di fronte a un enorme campo di battaglia.
Non se ne esce vivi?
Dipende da qual è l’intento, se è quello di continuare a spremere e prelevare denaro oppure di pensare a come metterne di più in circolazione. Fino a ora si è perseguito il primo e, quindi, si è puntato, per reagire alla crisi, a una riscossione sempre più feroce sia da parte delle banche che dello Stato, con la conseguente e paradossale sottrazione di risparmi anche a soggetti in attivo.
Ciò che è accaduto, in pratica, col crack bancario.
Proprio così. E ancora non si riesce a capire che meccanismi simili vanno bene se vuoi mettere in ginocchio il Paese e non se vuoi risolvere il problema alla radice. C’è bisogno di far affluire sangue all’organismo e cioè di far tornare risorse nel settore privato. Anche alla luce del fatto che quello pubblico, se gestito bene, non fallisce. In un Paese normale, senza aumentare lo stock di debito, sarebbe possibile fare politiche espansive. E la crescita che ne deriverebbe farebbe abbassare il livello del debito, creando un circolo virtuoso.
Se l’asticella di un’azione di recupero efficace dei debiti si ferma a 51,9 miliardi, quindi, è frutto di un’impostazione completamente sbagliata?
Ma se le imprese, nonostante le promesse da marinaio di Renzi, aspettano ancora 70 miliardi, di cosa parliamo? Lo Stato cominciasse a saldare i suoi di debiti, rimettendo in circolo denaro che in parte potrebbe incassare.
Dalla rottamazione delle cartelle si attendono 5 miliardi. Da un punto di vista contabile è una misura su cui si può fare affidamento come copertura di spese?
Per fare cassa sì, ma non risolve il problema alla radice. Certo, tra un aumento della tassazione della casa (bene che non produce reddito) e la rottamazione delle cartelle, meglio la seconda. Anche se penso che le due misure non si elidano a vicenda.
Insomma, è una forma di condono che riproporrebbe?
La riproporrei eccome. Ma i condoni possono funzionare solo se in parallelo si procede con eliminazione dei problemi che li hanno creati. Altrimenti diventano solo un incentivo a non pagare per i cittadini. a non pagare per i cittadini.
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