di Francesco Nardi
L’atmosfera nel Pd è surreale. Gli scatoloni con il materiale per il tesseramento 2013 sono arrivati nelle federazioni già a Marzo, ma la tradizionale ressa per accaparrarsi le prime derrate non c’è. Anzi, quasi nessuno è davvero partito, come se il congresso di ottobre non rappresentasse la più importante delle scadenze nella vita del partito.
L’appuntamento, annunciato come il gran finale di una resa dei conti attesa da tutti, è avvertito dal corpaccione democratico come qualcosa di ancora indecifrabile. I riferimenti in lina di massima non sono cambiati, e chi segue la vita del partito sa che presto o tardi comincerà il suo lavoro e in che direzione sarà impegnato. Ma le incognite questa volta sono enormi: le squadre non sono realmente composte e ancora non si sa, nelle alte sfere, chi sta con chi e a che prezzo. E in particolare tutto resta ferno in attesa delle mosse di Epifani, la cui discesa in campo nell’agone congressuale, forte del sicuro appoggio della Cgil, sarebbe molto difficilmente arginabile. Il problema è ormai sotto gli occhi di tutti e ricorre nei serrati dibattiti che animano i circoli in queste lunghe sere di primavera. Si discute dell’indecisione dei capibastone, che ancora non hanno sguinzagliato le loro truppe, ma anche e soprattutto della totale disorganizzazione in cui versa l’intero partito. Al punto che è sempre più diffusa tra i militanti l’opinione secondo cui Pier Luigi Bersani, ancorché dimissionario, avrebbe dovuto fare il sacrificio di restare in sella per gestire l’avvicinamento e l’organizzazione dell’assise autunnale.
L’attesa della prima mossa
Ma quello che è fatto è fatto, e anche far notare che il partito si è spogliato di decine di segretari di importanti circoli e di federazione per mandarli in Parlamento, mai sosituiti, lascia ormai il tempo che trova. La sfida del tesseramento, quando comincerà, porrà innanzitutto il dramma del numero delle adesioni, perché è scontato che i fasti di partecipazione dei “bei tempi” (belli poi chissà perché) non sono ripetibili e neanche avvicinabili. Nel 2012 gli iscritti sono stati ben 553mila: un numero importante e che oggi, con gli sfaceli inanellati negli ultimi sei mesi, appare assolutamente irraggiungibile. La partenza in sordina del tesseramento è comunque un dato nazionale e che trova conferma in tutto il territorio nazionale, dalle regioni in cui il Partito democratico è tradizionalmente più debole quanto in quelle dove in genere risiede lo zoccolo duro in termini di consenso e partecipazione. In tutto questo piattume spicca invece il grande attivismo dei sostenitori di Matteo Renzi. Tra il sindaco di Firenze e i suoi fan, in verità, la storia è controversa. Entusiasti e trasversalmente disposti a genuina militanza in pendenza delle primarie, quanto delusi e distaccati subito dopo. L’atmosfera si era spenta, insieme alla scia del camper parcheggiato, per via della condotta dell’ousider fiorentino che non ha voluto dare seguito alla linea forte della “rottamazione” a tutti costi. Scissioni, gesti eclatanti, sfide frontali, ecco cosa volevano i seguaci di Renzi, ma non sono stati accontentati e quindi si sono presto raffreddati restando a covare la loro insoddisfazione sotto la cenere delle politiche. L’idillio però è ripreso con l’allucinante day after elettorale, con l’italia impantanata nello stallo istituzionale e con il ritorno di Renzi a calcare la scena.
L’idillio renziano
E continua ancora oggi, facendo fiorire su tutto il territorio nazionale un numero sempre crescente di circoli e associazioni, tutte con nomi diversi, che sostengono il sogno del ritorno in campo del rottamatore. Renzi, però, continua per la sua strada e non dà spago a questi movimenti. Ha sotituito la keyword della sua agenda, che da “rottamazione” è diventata “tenerezza” ed ha preso ad alimentare rapporti anche con i suoi principali bersagli. D’Alema, per esempio, dal quale incassa la definizione di “risorsa” e forse anche qualche dritta strategica. L’ex premier ha sempre negato, ad esempio, l’esistenza dei dalemiani come sua corrente di riferimento. E lo stesso sta facendo Renzi che bolla i circoli che nascono come “iniziative” spontanee e non pilotate. Insomma, i rottamatori sono i nuovi dalemiani: più contano e meno “esistono”. Di certo, si stanno facendo notare.