E menomale che lo aveva detto anche Ilaria D’Amico: “Non sono preoccupata degli ascolti, ma di fare un bella trasmissione”. E già, perché Che c’è di nuovo, ovvero il programma della compagna di Gigi Buffon ritornata in tv, o meglio in Rai, si è rivelato un autentico flop.
Il programma “Che c’è di nuovo” condotto da Ilaria D’Amico si è rivelato un autentico flop. In Rai, però, chi impone idee e cast resta al suo posto
Andato in onda per la prima volta giovedì ha realizzato un seguito di 349mila spettatori e appena il 2,2% di share. Praticamente surclassato da Dritto e Rovescio: su Rete 4, Paolo Del Debbio ha fatto il 7,2% di ascolti, pari a 1.031.000 telespettatori. Senza pietà anche il confronto con Corrado Formigli: su La7, PiazzaPulita ha fatto segnare il 5,9% in termini di ascolti, pari a 838.000 telespettatori. Ma non è tutto: Rai 2 e la D’Amico vengono superati anche da Nove, dove veniva trasmesso Only fun – Comico show, che porta a casa un ottimo 2,8% e 506mila telespettatori, cifre di tutto rispetto per Nove.
Non è il primo flop per Rai 2. Negli ultimi anni, infatti, diversi format e talk non hanno, per usare un eufemismo, brillato. Vedi Kronos, Popolo Sovrano, Seconda Linea e Anni 20, tutti format che stentavano a raggiungere il 2%.
Ma a questo punto viene lecito interrogarsi sui motivi per cui si registrano questi flop. E una delle risposte è da rintracciarsi nello strapotere degli agenti televisivi che decidono chi e cosa dobbiamo guardare in tv, sponsorizzando i loro clienti. Una dittatura che spesso determina una doppia sconfitta.
La prima sull’audience, la seconda, più grave forse, sulla mission della Rai. Che producendo prodotti televisivi di scarsa qualità viene meno al ruolo che gli è stato demandato di più grande azienda culturale del Paese. Padroni assoluti della televisione italiana, che decidono in soldoni i palinsesti delle reti, sono Lucio Presta e Giuseppe Caschetto.
Alla scuderia Itc2000 del secondo si iscrive la stessa D’Amico. Caschetto, emiliano, un passato da dipendente della Regione Emilia Romagna e da sindacalista della Cgil, introdotto nel mondo dello spettacolo da Bibi Ballandi, è considerato il vero deus ex machina della tv italiana. Ha sotto contratto – come ha scritto Luigi Mascheroni in un ritratto tagliente dell’agente tv fatto su il Giornale – il meglio dell’intellighenzia radio-cine-televisiva nazionalpopolare, da Raitre a La7, dal Nove a Sanremo.
Basta scorrere i nomi dei giornalisti e degli artisti che appartengono alla sua scuderia. Eccone alcuni: Maurizio Crozza, Andrea Zalone (autore di Crozza), Giovanni Floris, Luciana Littizzetto, Fabio Fazio, Massimo Gramellini, Fabio Volo, Roberto Saviano, Lili Gruber, Luca Telese, Lucia Annunziata, Virginia Raffaele, Pif, Cristina Parodi, Daria Bignardi, Neri Marcorè, Corrado Formigli, Enrico Bertolino, Enrico Brignano, Enrico Lucci, Miriam Leone, Geppi Cucciari, Alessia Marcuzzi.
E a scorrere la lista non è un mistero capire come mai Che Tempo che fa, programma presentato da Fazio e Littizzetto (artisti di Caschetto), scritto da Piero Guerrera (autore di Caschetto), sia spesso frequentato da Saviano, D’Amico, Brignano, Volo, Marcoré (tutti dell’agenzia Caschetto), e pubblicizzi film come “Fai bei sogni”, prodotto da Rai Cinema con la IBC Movie (sempre di Caschetto), tratto dal romanzo di Gramellini (sempre scuderia Caschetto).
Insomma una vera e propria compagnia di giro. Discretissimo e potente, sempre dietro le quinte, Caschetto confessava anni fa di avere come modello Enrico Cuccia. Considerato “quello di sinistra” ogni tanto fa eccezione alla regola: fino a qualche anno fa tra i suoi clienti c’era anche Nicola Porro. L’altro manager potente della tv è Presta. Che era stato citato da Matteo Salvini a proposito dello “strapotere degli agenti”. Nato a Cosenza il 14 febbraio 1960, Presta – amico tra l’altro di Flavio Briatore – conosce tutti i meccanismi della televisione.
Della sua scuderia fanno parte, per citarne alcuni, Paolo Bonolis, il premio Oscar Roberto Benigni, Ezio Greggio, Antonella Clerici e Paola Perego, che oltre che conduttrice è anche sua moglie. A 13 anni fa il barman negli alberghi (“è li che ho imparato a capire com’ è fatta la gente”) poi la danza. In effetti è un ex ballerino. “Mio padre in Calabria si vergognava, sa, per via del fatto dei ballerini gay. Ho fatto varie edizioni di Fantastico, pesavo 64 chili, portavo i capelli lunghi. Non avevo talento, era un mestiere”.
Poi l’incontro con Vincenzo Ratti, manager di Benigni. Diventa la sua ombra. Gestisce carriere che valgono milioni di euro. Motto: “Prima di passare alla gloria meglio passare alla cassa”. Studia dai salesiani: “Sono salesiano. Prima mi vendico, poi perdono”, ironizza e nella sua autobiografia, “Nato con la camicia”, si racconta. Nel marzo 2016 la folgorazione, annuncia che vuole diventare sindaco di Cosenza. Dicono tutti “imposto da Matteo Renzi”, che nel frattempo è diventato suo amico. Ma poi si ritira dalla corsa “per motivi familiari”, dice.
Al senatore fiorentino lo lega anche qualche guaio giudiziario. Nel luglio dello scorso anno, Renzi e Presta vengono indagati dalla procura di Roma per finanziamento illecito ai partiti. La vicenda riguarda il documentario su Firenze, “Firenze secondo me”, che Renzi, con la casa di produzione “Arcobaleno tre” della famiglia Presta, ha realizzato. E andato in onda su Discovery Channel con più che deludenti risultati di pubblico: il 2%.
Per i Presta non era stato un buon affare, visto che Discovery aveva pagato appena 20mila euro. Per Renzi sì che aveva intascato 454 mila euro per il documentario. La procura di Roma e gli uomini del nucleo di Polizia valutaria della Guardia di finanza hanno ipotizzato che, dietro il cachet per quel documentario, ci fosse in realtà altro: un finanziamento illecito al Renzi politico, appunto, essendo la cifra troppo alta, fuori mercato.
Ad ogni modo tanto Presta quanto Caschetto sono indicati come gli uomini che fanno i palinsesti. Ma se appare comprensibile che i due possano piazzare uomini e programmi loro nelle reti private, meno comprensibile è che agiscano in totale libertà nell’azienda di Stato creando tra l’altro format che sono un flop su tutti i fronti. Senza considerare che la tv pubblica continua in questo modo ad affidarsi all’esterno senza far crescere le professionalità interne a viale Mazzini, con evidente dispendio di denari. I nostri, per giunta.