di Sergio Patti
Professore Emanuele, l’Europa ieri piangeva a Lampedusa, oggi minaccia di togliere pure i pochi aiuti che ci dà per l’emergenza immigrazione…
“Una minaccia che non sorprende. L’Europa ci ha abbandonato da un pezzo. E anche sugli immigrati continua a sbagliare bersaglio, così come sulla politica economica, sulla politica estera e su quella del lavoro”.
Promotore della Fondazione Roma-Mediterraneo, gemmata dalla Fondazione Roma di cui è presidente, Emmanuele Emanuele sta facendo da tempo quello che l’Europa e l’Italia hanno smesso di fare: aiutare i Paesi del Mediterraneo a casa loro; creare le condizioni perché nessuno debba più fuggire da un destino senza speranza, in un esodo verso l’Occidente e l’Europa che nessun muro potrà fermare.
“Questa è l’unica strada per smetterla con i barconi, con i lager dove teniamo di fatto prigionieri questi profughi, con la disumanità di un contrasto all’immigrazione che ci lascia sulla coscienza migliaia di morti”.
Discorsi da euroscettico…
“Neanche per sogno. Ma da siciliano, mediterraneo, abituato da sempre a un modello di società multietnica, provo un affetto “francescano” nei confronti degli emigranti. E per questo credo che non ci si possa rassegnare a una politica che sbaglia tutto”.
E cosa sbaglia?
“Lo dico da europeista convinto. Avendo condiviso da giovane la visione degli Adenauer, dei De Gasperi, dei Monnet, pensavo che l’Europa unita si sarebbe potuta contrapporre a un Oriente destinato a crescere e a un Occidente indirizzato al declino. Poi però l’Europa è stata fatta male, la moneta unica ancora peggio e sono diventato un anti-europeista, senza però cessare di sperare che a questa Europa se ne possa contrapporre una diversa: federale, solidale, realmente uno Stato. Un fallimento, così come sono fallite le politiche sull’immigrazione. Da uomo di campagna, tra l’altro, dico che senza questi immigrati oggi per la nostra agricoltura non c’è speranza. I campi sono abbandonati; l’italiano di ceto medio non vuole più fare il campagnolo. Lo fa magari “di ritorno”, con un approccio snobistico/ecologico, ma la “zappata” non la vuole dare più nessuno, il figlio del campiere in Italia non ci vuole più stare nei campi”.
Dunque facciamoli venire tutti?
“Non ho detto questo. Dico che c’è un margine di accoglienza e questa va fatta dignitosamente, con un sostegno molto più forte dell’Europa. Lampedusa non è l’avamposto d’Italia, è l’avamposto d’Europa. Bruxelles però si interessa appena del fenomeno e infatti nell’ultima visita a Lampedusa Barroso è stato fischiato. Far vivere queste persone in certi modi è indegno. Farle morire in mare, mentre attraversano il Mediterraneo, è delittuoso. E infatti gli stessi emigranti se ne vogliono andare, non vogliono rimanere da noi, vogliono fuggire verso l’Europa del Nord, ovunque riescano a passare”.
Intanto noi gli offriamo i lager…
“Una vergogna, così come non mi piace la politica finta-caritatevole del nostro ineffabile Governo, qualunque esso sia: Monti, Letta… per me pari sono. Ipotizzare di migliorare le condizioni di arrivo di questi emigranti mandandoli a prendere dalle navi in alto mare, piuttosto che vedere affondare i barconi, è un palliativo”.
E allora che fare?
“Dovremmo avere un’Europa che si consorzi e che crei le premesse perché questa gente trovi un lavoro in patria, nei loro Paesi. Questo bisogna fare. E per quegli emigranti che vengono da Stati dove c’è la guerra o la persecuzione (tipo la Siria) bisognerebbe creare degli spazi “franchi”, civilizzati, dove queste persone possano vivere in attesa di poter far rientro nel loro Paese, protette da una forza di pace europea, tipo l’Onu. Questa è la mia idea, ed è per questo che la Fondazione Roma-Mediterraneo si è posta il problema di venire incontro alle aspettative di quell’area: sosteniamo il Festival di El Jem a Tunisi, che è un fenomeno di cultura di alto livello, dove diamo lavoro alle maestranze del luogo; stiamo operando a Rabat, per la raccolta delle acque, anche qui impiegando i giovani del luogo nel progetto; stiamo finanziando in parte la ricostruzione della Basilica di Sant’Agostino di Ippona ad Annaba, in Algeria: anche questa un’ottima opportunità di lavoro per le maestranze locali, che consenta loro di guadagnarsi da vivere senza dover emigrare”.
L’idea non è nuova. Fino ai primi anni novanta l’Italia sosteneva corposi piani di cooperazione…
“Sosteneva. Appunto. Ma dai quei tempi, facciamo pochissimo. Invece dobbiamo entrare nell’ordine di idee che anche su questo argomento l’Italia e l’Europa devo far sentire la loro voce. Se dobbiamo perseguirla, questa politica, dobbiamo perseguirla su questa base: non rigettare gli immigrati, ma aiutarli a vivere meglio nel loro Paese”.