È Hillary Clinton ad aggiudicarsi il primo confronto Tv tra i candidati presidenti alla Casa Bianca. Questo è perlomeno il risultato dei sondaggi instanteni della Cnn. Tra Hillary Clinton e Donald Trump, dicono gli instant poll, vince la candidata democratica con il 62% dei consensi.
Siamo, però, solo all’inizio. La partita è tutt’altro che chiusa, anche considerando che questo è stato solo il primo dei tre confronti Tv previsti sulla strada che separa all’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti.
LO SCONTRO – Il duello del secolo, con cento milioni di spettatori, non ha deluso le attese. Spettacolare, eccitante. Forse decisivo. Hillary Clinton aveva più da perdere, perché da lei ci si attendeva il massimo della competenza, della professionalità, ma doveva evitare di aggiungerci qualche tic di superbia, arroganza, presunzione. Donald Trump doveva evitare gli eccessi, doveva trattenersi dall’istinto dello showman, per apparire presidenziale, ed effettivamente si è contenuto. Ne esce un po’ meno “inverosimile” come presidente. Ha perfino dichiarato che accetterebbe una vittoria di Hillary, anziché ricorrere come fa di solito allo spettro delle elezioni truccate.
Uno dei momenti più infuocati è stato quando la democratica ha attaccato il rivale per la scelta di non rendere pubblica la dichiarazione delle tasse. “Nasconde qualcosa”, ha detto Clinton, alludendo al fatto che “magari Trump non è così ricco come ci vuole far credere” e potrebbe celare la provenienza illecita di ingenti finanziamenti internazionali e tasse non pagate al governo federale. La questione delle tasse è poi tornata quando Trump ha accusato i democratici di aver dissipato il denaro che ora manca all’erario. “Magari è perché tu non hai pagato le tasse!” gli ha risposto Clinton.
Trump, però, ha cercato di ribaltare tale accusa: “Renderò pubblica la mia dichiarazione delle tasse quando lei produrrà le 30 mila email che sono state cancellate dal server privato” usato quand’era segretario di stato. Clinton, che ha preparato accuratamente questo dibattito e che si aspettava con ogni probabilità l’attacco, ha evitato di accampare le giustificazioni più volte ripetute nel passato e ha riconosciuto, sobriamente, le sue responsabilità: “Se dovessi trovarmi ancora in quella situazione, ovviamente mi comporterei in modo differente”.
Altri momenti particolarmente accesi del dibattito sono stati quelli legati alle tensioni etniche e più in generale al tema della race. Trump si è difeso dall’accusa di avere per anni alimentato la teoria che Barack Obama non sia effettivamente nato negli Stati Uniti (e che quindi non sia stato legittimato a esserne presidente). Trump ha risposto spiegando di aver detto, e una volta per tutte, che “Obama è nato negli Stati Uniti”; e ha addossato su Clinton l’accusa di aver per prima sollevato quel sospetto. “I suoi collaboratori nella campagna presidenziale del 2008 attaccavano Obama sulla questione della nascita”. È stato senz’altro questo uno dei momenti più difficili per il candidato repubblicano. Clinton, che punta a compattare gran parte del voto afro-americano che nel 2008 e nel 2012 ha sostenuto Obama, ha infatti avuto buon gioco ha definire “razzista” la questione del certificato. L’accusa è tornata quando la democratica ha ricordato che, negli anni Settanta, gli afro-americani non potevano vivere nei condomini costruiti dai Trump.
Trump ha messo invece in decisa difficoltà Clinton sulla questione dei trattati di commercio. Ha ricordato che, da segretario di stato, la candidata democratica ha appoggiato la Trans-Pacific Partnership, che ora invece rigetta. L’accusa è servita a ribadire uno dei cavalli di battaglia di questa campagna elettorale del repubblicano: la perdita di milioni di posti di lavoro, portati all’estero dalle imprese americane, e la necessità di misure che contrastino i trattati di commercio internazionali. Ma Trump ha colpito colpito nel segno anche quando ha descritto il Medio Oriente come un caos, e quindi assegnando un segno meno alla politica estera di Obama-Clinton.