Elezioni in Romania, in vantaggio il sovranista e filorusso Georgescu

L'ultranazionalista Călin Georgescu sfida l’establishment rumeno e scuote l’Europa con un populismo dal volto accademico

Elezioni in Romania, in vantaggio il sovranista e filorusso Georgescu

C’è qualcosa di familiare in questa storia. Qualcosa che abbiamo già visto, che conosciamo bene. La Romania si è svegliata questa mattina con una sorpresa che ha il sapore amaro del déjà-vu: Călin Georgescu, ultranazionalista con un passato di simpatie per l’estrema destra rumena, è in testa alle elezioni presidenziali con il 22,94% dei voti.

Un volto nuovo, una retorica antica

Non è solo una vittoria, è uno schiaffo all’establishment che nessuno aveva previsto. I sondaggi non lo davano nemmeno come outsider, eppure eccolo lì, davanti al primo ministro in carica Marcel Ciolacu (19,15%) e alla riformista Elena Lasconi (19,17%). È la storia di sempre: mentre i partiti tradizionali si azzuffavano tra loro, qualcuno stava seminando nel campo fertile del malcontento popolare.

Ma chi è questo professore universitario che ha fatto tremare l’establishment rumeno? Georgescu, 62 anni, si presenta come un consulente internazionale esperto di sviluppo sostenibile, con oltre un decennio di esperienza nelle organizzazioni Onu. Ma è il suo curriculum nascosto a far tremare: dichiarazioni di ammirazione per Putin (“un uomo che ama il suo paese”), critiche feroci alla Nato e all’Unione Europea, nostalgie per il movimento legionario fascista rumeno.

La ricetta del suo successo? La solita minestra riscaldata del populismo sovranista: meno importazioni, più produzione nazionale, sostegno agli agricoltori. Il tutto condito con una retorica anti-establishment che ha trovato terreno fertile su TikTok, dove il professore ha costruito il suo successo mescolando video in cui si mostra mentre fa judo, corre in pista o frequenta la chiesa. Un cocktail perfetto per catturare l’attenzione di chi si sente escluso, dimenticato, tradito dalla politica tradizionale.

E non è un caso che tutto questo accada proprio in Romania, paese che condivide 650 chilometri di confine con l’Ucraina e ospita uno scudo missilistico Nato che Georgescu ha definito “una vergogna diplomatica”. Le sue posizioni sulla guerra in Ucraina? Secondo lui è tutta una manipolazione delle compagnie militari americane. Putin non poteva sperare in un megafono migliore.

Ma c’è qualcosa di più profondo in questa vittoria che non può essere liquidato come semplice protesta anti-sistema. Come ha sottolineato l’analista politico Radu Magdin, Georgescu ha saputo utilizzare un mix letale di retorica messianica e eleganza formale per capitalizzare le frustrazioni della gente. Ha parlato alla pancia del paese senza sembrare un populista da quattro soldi, ha dato dignità accademica al malcontento, ha trasformato la rabbia in un progetto politico apparentemente rispettabile.

“L’incertezza economica imposta al popolo rumeno per 35 anni è diventata oggi incertezza per i partiti politici”, ha dichiarato Georgescu dopo la chiusura dei seggi, definendo il risultato “un risveglio straordinario” del popolo rumeno. Un risveglio che sa tanto di incubo per chi sperava in un futuro europeo e atlantista della Romania.

Il secondo turno è fissato per l’8 dicembre, dopo le elezioni parlamentari di domenica prossima. Ma qualunque sia il risultato finale, il dado è tratto: la Romania si trova a un bivio tra la sua vocazione occidentale e il richiamo delle sirene sovraniste. E non è solo un problema rumeno: è lo specchio di un’Europa che continua a non trovare risposte convincenti alla crescita dei populismi.

Un’Europa che non sa rispondere

Intanto nei corridoi di Bruxelles e nelle cancellerie europee si fanno i conti con questa nuova tegola che cade sulla già fragile architettura dell’Unione. Perché se c’è una cosa che questa elezione ci insegna è che il populismo non è morto, si è solo vestito da professore universitario. Ed è più pericoloso che mai.