Il problema non è solo Massimo D’Alema, che anima il fronte del “no” al referendum sulle riforme. Nel Partito democratico si agita un altro spettro: il voto contrario anche di una parte della minoranza, che fa riferimento all’ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza. E che potrebbe portare con sé anche il “no” di Pier Luigi Bersani, che parla di “solita canzone” andata in scena.
L’intervento di Matteo Renzi alla Festa nazionale de L’Unità, a Catania, non è stato convincente. Almeno per la sinistra dem. “Se dovessero arrivare fatti concreti nelle prossime ore capaci di cambiare l’equilibrio riforma costituzionale-legge elettorale sarò ben contento di valutarle. Ma ad oggi questa è la mia posizione: al momento voto no”, ha dichiarato Speranza. “Mi sarei aspettato qui a Catania maggiore coraggio e soprattutto un tentativo vero di abbassare i toni della polemica. Purtroppo così non è stato”, ha concluso il suo ragionamento, riaprendo lo scontro. Non è stato meno tenero Gianni Cuperlo: “Serve che il Pd e il suo leader assumano una iniziativa pubblica e chiara che almeno oggi purtroppo non si è sentita”. E ancora: “L’appello all’unità del partito senza volonta’ di ascolto reale, usando espressioni e toni verso un ex presidente del consiglio che un capo del governo non dovrebbe permettersi, e senza cogliere la quota di vero che può trovarsi nelle ragioni dell’altro finisce nella retorica”.
In effetti il presidente del Consiglio non ha annunciato granché di nuovo rispetto alle scorse settimane. Sul referendum ha rilanciato gli stessi argomenti messi sul tavolo in estate: “Mi hanno chiesto di non personalizzare e ho smesso. Ho detto che la legislatura ha una vita a se stante. E non parliamo più del governo in caso di vittoria del No”. Renzi si è limitato a polemizzare con D’Alema, che “nel ’95 scrive di superamento del bicameralismo perfetto con una sola camera politica e di un capo del governo indicato dai cittadini e noi non l’abbiamo fatto per evitare problemi perché i poteri del premier non cambiano”, ha affermato il premier.
Sulla legge elettorale, dopo le parole del presidente emerito Giorgio Napolitano, Renzi si è dimostrato possibilista: “Pronti a discuterne. C’è bisogno però che gli altri facciano proposte, noi facciamo le nostre”, ha detto lasciando intendere che il superamento dell’Italicum non è tabù.