C’è innanzitutto Giorgia Meloni che si dice commossa. E ha ragione di esserlo. Perché mentre le Europee hanno punito i governi in carica di Francia e Germania, le urne hanno promosso quello italiano. Fa niente che dietro al 28,8% incassato da FdI, con l’affluenza in calo, pur aumentando la percentuale, il partito della premier abbia perso circa 600mila voti rispetto alle Politiche. Per Giorgia contava vincere il referendum e l’obiettivo è stato centrato. Poi c’è Salvini che esulta, ma ha poco da festeggiare. I circa 500mila voti incassati da Vannacci salvano la Lega dal baratro e silenziano chi dentro alla Lega aveva criticato la scelta di candidare il generale.
Ma il risultato delle Europee resta inchiodato a quello delle Politiche (appena lo 0,21% in più), consentendo a Forza Italia di piazzare il sorpasso, sia pur minimo, sulla Lega. Senza contare che il calo registrato in Veneto rafforza ora le pretese di Fratelli d’Italia che rivendica per sé la guida della Regione alla scadenza del secondo mandato di Zaia. Dall’altro lato della barricata, Elly Schlein trascina il Pd al 24%, l’incremento più significativo sia in termini percentuali che assoluti. Un risultato che per la segretaria dem risolve un paio di problemi mica da poco. Primo: ridimensiona il peso delle minoranze interne archiviando, almeno per il momento, quel clima da congresso permanente che ha abbattuto come birilli, uno dopo l’altro, gli ultimi leader del partito. Secondo: consegna al Pd il ruolo di baricentro di ogni possibile alleanza futura di centrosinistra ridimensionando le ambizioni di Conte e dei Cinque Stelle, usciti malconci dalla tornata elettorale.
Non basta stavolta l’alibi di una competizione, quella per le Europee, che storicamente ha sempre penalizzato il Movimento. Siamo di fronte ad un vero e proprio crollo che richiede una riflessione seria. Come peraltro ha ammesso lo stesso Conte. Poi c’è l’exploit di Fratoianni e Bonelli. Dell’Alleanza Verdi-Sinistra in controtendenza rispetto al voto degli altri Paesi europei. E il clamoroso flop degli ego-centrini di Renzi e Calenda, rimasti fuori dal Parlamento europeo. Epilogo finale di quell’area moderata che esiste più nelle pagine dei giornali che nel Paese reale.