Il rumore delle maschere che cadono è un ritmo di tonfi, un inno all’ipocrisia. L’annuncio della tregua annunciata per domenica nella Striscia di Gaza ha incupito alcuni tra politici e commentatori che per mesi ci hanno detto che ciò che contava erano “solo gli ostaggi”, negando una guerra che a molti appariva come una rappresaglia contro civili e servizi essenziali. Si è incupito anche il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu che minaccia di fare saltare l’accordo accusando Hamas di volere ritrattare alcuni punti.
Si è incupito il ministro sionista religioso Bezalel Smotrich che ha affermato che il suo partito di estrema destra, Religious Zionism, rimarrà nella coalizione di governo solo se Netanyahu accetterà di tornare in guerra dopo la tregua. Insomma, se non c’è la guerra Netanyahu rischia di perdere il potere perché il suo potere è la guerra. Netanyahu ormai non è nient’altro che questa guerra. La poca voglia di pace del resto si evince anche negli 81 morti ieri, dopo l’annuncio dell’accordo dato in pompa magna dai presidenti Usa Biden e Trump.
Bisognerà tenere bene a mente anche che il cessate il fuoco è una tregua su una ferita che non si rimargina. Il governo israeliano ha soffiato sulla voglia di occupazione. Cacciare i palestinesi da Gaza è molto più del sogno di qualche squinternato. I fuochi che devono cessare sono molti, più delle bombe e delle armi. Dall’altra parte Hamas sogna la vendetta. E la controffensiva della controffensiva sarebbe la miccia della prossima guerra.