L'Editoriale

Una pallonata perfino alla decenza

La bufera che si è abbattuta sui capi-ultras di Inter e Milan è solo l'ennesimo scandalo del calcio. Ma presto verrà dimenticato.

Una pallonata perfino alla decenza

Un’inchiesta “dal valore emblematico”, che “costringe ad aprire gli occhi su una realtà di rischi evidenti da tempo di deriva criminale negli stadi italiani e di condizionamenti criminali della vita delle società. Bisogna smettere di far finta di niente”. La verità dello sfacelo del calcio italiano sta tutta in queste poche frasi pronunciate ieri dal procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, durante la conferenza stampa che ha seguito l’arresto dei capi ultras – ma sarebbe meglio definirli “capi-clan” – delle curve di Inter e Milan.

Dalle curve di San Siro estorsioni, ricatti e violenze

Un lavoro, quello della procura di Milano che ha fatto luce su quasi un decennio di malaffare, estorsioni, violenze, minacce, ricatti, infiltrazioni ‘ndranghetiste, nel “dorato” mondo del pallone milanese. Che di dorato ha proprio poco, a parte i guadagni milionari dei capi della Nord (Inter) e Sud (Milan). Un mondo dove, gli investigatori lo hanno detto chiaramente, ieri, le società sportive – che sono aziende e, come tali “nel mirino delle organizzazioni criminali che ritraggono occasioni di profitto, espansione e capacità di influenza” – non sono solo vittime. Sicuramente non sono vittime che denunciano.

Un muro di omertà. A partire dai vertici nerazzurri

L’omertà è infatti la cifra che ha contraddistinto tutta l’indagine di Milano, frutto di diversi filoni partiti anni fa che si sono infine riuniti in un unico fascicolo. Omertà che ha riguardato tutte le vittime dirette: dai piccoli bagarini e venditori di magliette taroccate pestati perché dovevano guadagnare gli ultras; agli imprenditori titolari di appalti pubblici per la gestione dei parcheggi, prima taglieggiati, ma che poi hanno finito per entrare nel circolo della protezione ‘ndranghetista contro eventuali concorrenti; fino ai dirigenti nerazzurri, che per per non avere problemi, hanno assecondato –-con sudditanza – tutte le richieste dei “tifosi”. Biglietti scontati, occhi chiusi sugli ingressi senza biglietto; ricatti subiti passivamente.

“Le società di calcio sono parti offese”, però…

Certo, il procuratore di Milano Marcello Viola ha spiegato che le società sono soggetti danneggiati, “sono parti offese”, avendo messo in campo sistemi per prevenire gli illeciti, che hanno mostrato “profili di criticità”. Un modo elegante per dire che quei “sistemi per prevenire gli illeciti” hanno toppato alla grande, evidentemente. Sia nel prevenire, sia nel denunciare.

Tanto è vero che, scrive il gip Domenico Santoro, “le indagini condotte hanno evidenziato che la società interista si trova in una situazione di sudditanza nei confronti degli esponenti della Curva Nord, finendo, di fatto, per agevolarli seppur obtorto collo”.

“Aprire gli occhi sui rischi del sistema calcio”

“Credo che questa vicenda sia importante per l’occasione che si offre al dibattito pubblico per riflettere su motivi di rischio assai concreto che si proiettano su parte significativa del sistema nel calcio professionistico e non professionistico italiano”, ha sottolineato Melillo, che ha anche annunciato la nascita mesi fa di “un gruppo di lavoro che si occupa del condizionamento criminale delle attività sportive” e delle “logiche che sdoganano negli stadi la propaganda antisemita e razzista”.

Sì, perché nelle curve il racket va a braccetto con razzismo ed estremismo di destra (nessuno dimentica la foto dell’abbraccio tra il capo della curva Sud del Milan, Luca Lucci – arrestato ieri – e Matteo Salvini al derby di qualche anno fa).

Agli ultras arrestati del calcio non interessa nulla. Vogliono i piccioli

Il grande paradosso è che a questi (brutti) protagonisti del mondo del calcio, i capi delle curve, del calcio non interessa nulla. Vogliono i piccioli, come tutti i criminali. Come spiegano intercettati due capi della tifoseria interista, Andrea Beretta e Renato Bosetti: “Beretta:”(…) lo sai benissimo… Io non faccio le cose per lo striscione… A me non me ne frega un emerito cazzo!”. Bosetti: “Ma nessuno lavora per il popolo!”. Beretta:”(…) volete andate in curva a cantare Bella Ciao? a me non mi interessa? capito?”).

Calcio e ‘Ndrangheta, il segreto di Pulcinella

“Bisogna aprire gli occhi”, dice il procuratore Melillo, ma già sappiamo che il clamore di questi arresti e la “scoperta” dei rapporti di questi delinquenti con i vip durerà lo spazio di un mattino. E lo sappiamo, perché il rapporto calcio-‘ndrangheta era già stato abbondantemente scoperto, denunciato e, soprattutto, provato, a Torino, nell’inchiesta Last Banner del 2019, che portò dietro le sbarre 12 capi ultras della Juventus.

Anche allora si dimostrò – anche in sede processuale – che la ‘ndrangheta gestiva la curva bianconera. Che la Juventus era sotto ricatto continuo degli ultras; che si piegava ai ricatti dei biglietti, senza denunciare. Non è cambiato nulla.

Calcio-scommesse? Dimenticato

Così come all’acqua di rose sono state le “sanzioni” per lo “scandalo” (ma ormai il termine è inflazionato, vista la ricorrenza) del calcio-scommesse dell’estate scorsa. Quando, cioè, si scoprì che dei giocatori della Nazionale Azzurra passavano il tempo a scommettere anche sulle partite della loro squadra. Che quando non pagavano, venivano rapinati dei Rolex (il modo per dare denaro ai creditori senza doverlo dichiarare).

La Federazione beneficiò i protagonisti con sanzioni risibili – già scontate – senza, per esempio, indagare se i debiti contratti con i bookmakers dai giocatori abbiano potuto in qualche modo influire sui risultati sportivi. In un mondo dove ormai si può scommette su tutto – dal numero di cartellini gialli presi in un tempo, alle espulsioni ricevute, fino a quanti calci d’angolo l’arbitro concede nel match) – le possibilità di variare gli esiti di una di queste variabili cioè di queste scommesse (e pilotarle) per un calciatore indebitato, sono infinite. Ma guai a pensare che un ventenne con l’acqua alla gola per i debiti contratti con i gangster possa anche solo pensare di “barare”. Loro sono i nostri ragazzi, quindi vanno capiti (e salvati).

La politica ha sempre salvato il calcio e sempre lo salverà

Del resto, la politica non ha certo aiutato a rendere il calcio italiano un mondo pulito e specchiato. Le società di calcio, se non godessero di normative fiscali particolari, cucite addosso alle esigenze dei club dal parlamento, sarebbero società tecnicamente fallite. Lo stesso movimento calcistico sarebbe fallito.

Ma, siccome i governi – tutti i governi – hanno sempre pensato che far fallire il calcio non fosse lungimirante dal punto di vista elettorale, ci ritroviamo provvedimenti come lo “spalmadebiti”, che ha permesso ai club di Serie A di spalmare in 60 rate in 5 anni i debiti dovuti ai mancati pagamenti Irpef rimasti in sospeso a causa della pandemia di Covid (889 milioni di euro complessivi).

Quindi lo teniamo in vita artificialmente. A spese di tutti. E, ogni volta che succede qualcosa “di brutto”, ci indigniamo, ne parliamo e aspettiamo che passi la nottata. Fa benissimo il procuratore nazionale antimafia Melillo a invitare tutti ad aprire gli occhi. Ma tanto sappiamo che l’attenzione durerà giusto un battito di ciglia. Poi tornerà il buio. Fino al prossimo scandalo.