In Italia sono tutti liberi di intercettare, spiare, infiltrare, chiunque. Tranne i magistrati. Cioè gli unici che avrebbero (condizionale d’obbligo) l’autorizzazione a violare la privacy del cittadino. È la paradossale verità che insegnano le inchieste di Milano e Roma sui dossieraggi. Indagini che, al di là dei reati specifici, rivelano alcuni punti che dovremmo avere tutti ben chiari, ogni volta che si parla di limitare i poteri degli inquirenti in fatto di intercettazioni. Il primo è che senza l’accesso alle informazioni assicurato dalle nuove tecnologie, trojan e captatori, è oggi impossibile condurre alcuna inchiesta. E questo ce lo dimostrano gli spioni di Milano, richiestissimi proprio perché in grado di infiltrare telefonini e pc.
Se, come annunciato dal ministro Carlo Nordio, la maggioranza metterà stretti limiti all’utilizzo di trojan e captatori, di fatto taglierà le gambe agli investigatori, costretti a una guerra impari contro un nemico che invece la tecnologia la usa eccome. Il secondo punto è il tempo: in tutte le indagini, le cyber-spie premettevano ai clienti che per dare risposte alle loro necessità, serviva tempo. Il discorso vale anche per le forze dell’ordine le quali però, “grazie” all’emendamento Zanettin, di tempo per indagare su tangenti, corruzione, bancarotte fraudolente, finanziamenti illeciti (i reati dei colletti bianchi) ne avranno pochissimo. Solo 45 giorni. Poi dovranno fermarsi. Del resto i magistrati non sono mica degli spioni…