Ma a questo punto a cosa serve la Commissione europea? Perché aspettare fino a mercoledì quando basta Mario Draghi per tracciare la rotta dell’Ue, senza questa fastidiosa cerimonia delle elezioni, della conta dei voti, della proclamazione degli eletti, delle alleanze, della nomina dei commissari? Draghi presenta il suo documento sulla competitività dell’Unione e le reazioni parlano quasi più del contenuto.
Scompare in una nuvola di borotalco Ursula con der Leyen, presidente di una Commissione non ancora formata e già stanca. La più alta carica dell’Unione è già imbrigliata dalle parole di Draghi che dalle parti di Bruxelles – ma non solo – è un’evanescenza vicina all’oracolo. Del resto il terrorismo usato dall’ex banchiere (“o si cambia o si muore”) non ha certo il tono di una consulenza amichevole. Draghi ama essere il capo del governo ombra, von der Leyen pur di non perdere la seggiola accetta di buon grado un poi di buio.
L’ex banchiere diventato feticcio piace a tutti, al centrodestra e al centrosinistra. I popolari europei applaudono come sempre accade quando si sente profumo di potere. I riformisti del Pd si sciolgono in un brodo di giuggiole. Dalle parti di Italia Viva (dove alla fine resterà solo l’usciere) si spolvera “l’agenda Draghi” per nuove mirabolanti avventure. Calenda promette per oggi un’esegesi del verbo di Draghi, perché le sue tavole non vadano disperse.
Colui che ha diretto come Direttore generale del tesoro lo smantellamento delle Partecipazioni Statali, poi da Governatore della Banca d’Italia ha auspicato l’anticipazione di un anno del pareggio di bilancio poi imposto come obiettivo di medio termine col Fiscal Compact e che poi alla Bce ha accompagnato la deflazione strutturale ha detto che così non va. Draghi ha bocciato Draghi, come dice Tridico. E tutti a applaudire.