Ogni quattro giorni una persona si suicida in un carcere italiano. I numeri sono inchiostro freddo, ma raccontano l’urlo strozzato di un sistema che implode: 62.165 detenuti stipati in spazi pensati per meno di 47mila. Il sovraffollamento ha superato il 132%. In alcune celle si dorme in tre per terra, con un solo bagno e senza assistenza. E il ministro Carlo Nordio, che pure aveva promesso una riforma epocale, ha deciso che la colpa non è sua. È dei giudici. Dei magistrati. Delle leggi che non riesce a cambiare, o che scrive con l’intento di peggiorare.
Mentre i tribunali internazionali condannano l’Italia, Nordio si assenta. L’ultima bacchettata è arrivata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il caso di Simone Niort: 27 anni, 9 dei quali passati in carcere nonostante una grave patologia psichiatrica. Venti tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, nessuna struttura adeguata. La Cedu ha riconosciuto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione: trattamenti inumani e degradanti. Eppure, nulla. Nessuna risposta strutturale, nessuna assunzione di responsabilità.
Il decreto che punisce la povertà
I numeri parlano anche di 89 suicidi nel 2024. Di celle pensate per quattro persone che ne ospitano otto. Di rivolte, come quella nel carcere di Cassino, o fughe, come quella dal Malaspina di Palermo, che non sono solo cronaca nera, ma sintomi di una malattia istituzionale. Di una giustizia penale che si è trasformata in discarica sociale.
Il decreto Sicurezza, tanto sbandierato dal governo Meloni, non solo non affronta il problema, ma lo aggrava. Introduce reati che criminalizzano la marginalità: resistenza passiva nei Cpr e nelle carceri, occupazioni abusive punite come omicidi colposi. La Giunta esecutiva centrale dell’Anm ha segnalato evidenti profili di incostituzionalità, sottolineando che “si introducono nuovi reati per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale e non di scelte di vita”. “Basti pensare – ha aggiunto l’Anm – che la pena per l’occupazione abusiva di immobili coincide con quella prevista per l’omicidio colposo con violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Inoltre, incriminare la resistenza passiva nelle carceri e nei Cpr, e dunque la resistenza non violenta e la semplice manifestazione del dissenso, produce effetti criminogeni”. È un diritto penale costruito per punire l’esclusione, non per prevenire il crimine.
Di fronte a questa emergenza, il ministro propone moduli prefabbricati antisismici. Celle in lamiera come soluzione al disagio. Affidarsi alle baracche per nascondere l’assenza di una visione. La riduzione della carcerazione preventiva è rimasta un annuncio. Il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d’origine è un miraggio. L’edilizia penitenziaria è ferma a promesse e slide.
Mattarella parla. Nordio scompare.
Il 25 marzo 2025, nel messaggio per il 208° anniversario della fondazione del Corpo di polizia penitenziaria, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito “assai critiche” le condizioni del sistema carcerario e ha denunciato il “grave fenomeno di sovraffollamento in atto”. Un richiamo netto all’articolo 27 della Costituzione, che impone alla pena una funzione rieducativa. Ma Nordio, ancora una volta, ha fatto finta di nulla. Non ha nemmeno partecipato alla seduta straordinaria della Camera dedicata al tema. Il ministro della Giustizia assente quando si parla di giustizia.
Eppure, qualcosa si muove. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha finalmente emanato linee guida per garantire il diritto alla sessualità e agli affetti in carcere. Un segnale. Ma isolato. Non basta garantire un colloquio privato se nel frattempo si nega una terapia, se si muore nel silenzio, se si aggrava una malattia dietro le sbarre.
Il carcere, oggi, è luogo di abbandono, di espiazione cieca, di violenza burocratica. Non serve un piano emergenziale, serve una riforma etica. Nel frattempo, chi può, scappa. Chi non può, si toglie la vita. E lo Stato, invece di rispondere, volta lo sguardo.