L'Editoriale

Sul caso Almasri va in scena il teatro dell’assurdo

Sul caso Almasri va in scena il teatro dell’assurdo

Da un lato il ministro Nordio, che accusa la Corte penale internazionale (Cpi) di aver emesso un mandato “radicalmente nullo”. Dall’altro il collega Piantedosi che, invece, richiama quello stesso atto per motivare la necessità di “agire rapidamente”, a tutela della “sicurezza dello Stato”, per rimpatriare un soggetto altamente pericoloso, come emergeva chiaramente dalle carte firmate dai giudici dell’Aja.

Sul caso Almasri, il torturatore libico inseguito da un mandato di arresto internazionale per una sfilza di crimini ignobili ma scarcerato e rispedito in patria con un volo dei servizi segreti, è andato in onda in Parlamento il teatro dell’assurdo. Con il ministro della Giustizia che demolisce l’ordine di cattura emesso dalla Cpi e quello dell’Interno che, al contrario, lo ritiene fondato quanto basta da giustificare l’espulsione del pericoloso ricercato.

Il resto è un buco nero che va dall’arresto di Almasri alla sua liberazione. Il 20 gennaio, la Procura generale della Corte d’Appello della capitale, sollecita il ministero della Giustizia a far pervenire le sue richieste relativamente al fermo (che va convalidato entro 48 ore) del capo della polizia giudiziaria libica eseguito il giorno prima a Torino. Ma non arriverà alcuna risposta. Né risultano interlocuzioni, per chiarimenti – il governo parla di pasticcio combinato dall’Aja – tra il dicastero di Via Arenula e la Cpi, di cui il guardasigilli è unico interlocutore.

Solo il giorno dopo, il 21 gennaio, Nordio fa sapere che “sta valutando” se trasmettere il fascicolo alla Corte d’Appello. Intanto al Viminale stanno già predisponendo l’espulsione. Tutto chiaro no? A parte la risposta ad una domanda: ma i ministri del governo Meloni si parlano tra loro?