Si vis pacem, para bellum, dicevano. Ma poi sono andati oltre e alla guerra non solo si sono preparati ma l’hanno sostenuta, l’hanno sovraccaricata di significati morali e universali (il solito vizio della superiorità occidentale), l’hanno finanziata, alcuni addirittura l’implorano e la gustano come Zenith della politica.
Dall’invasione russa dell’Ucraina di quel 24 febbraio 2022 la guerra è i pane quotidiano dell’informazione, del dibattito politico. È l’insaporitore dei talk show: dimmi cosa pensi della guerra e il pubblico giudicherà chi sei. Le armi come metro di giudizio delle persone, dei partiti, delle associazioni. O di qua o di là. La guerra, appunto.
Il 7 ottobre, mentre l’invasione russa in Ucraina si trasformava pericolosamente in un conflitto a bassa intensità, l’eccidio di Hamas ha scatenato il “rischio plausibile” di genocidio nella Striscia di Gaza evocato dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU. Un’altra guerra, affilare i denti. Si vis pacem, para bellum e sostieni la vendetta, ci hanno detto. Dieci mesi di vendetta chiamata legittima difesa, anche se non ci crede più nessuno.
Dieci mesi di armi, finanziamenti, appoggi diplomatici. Risultato? Il fronte del conflitto israeliano si allarga a Teheran e a Beirut. Su Gaza non si intravede nessuna possibile soluzione. I sostenitori balbettano. Intanto a Kiev si trema di fronte all’ipotesi di Trump prossimo presidente Usa, già pronto a demolire la strategia internazionale adottata fin qui.
Vi è piaciuta la guerra per ottenere la pace? Ora ne avete una ancora più grande.