Stupisce lo stupore degli ex renziani del Pd. Che rimproverano alla segretaria Elly Schlein di fare ciò per cui si è candidata alle primarie del Partito democratico. La pietra dello scandalo sarebbe la firma al referendum promosso dalla Cgil per archiviare la discussa riforma del Jobs Act. Cioè la legge con la quale il governo Renzi riuscì, laddove Berlusconi aveva fallito, a cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che sanzionava con la reintegra i licenziamenti senza giusta causa.
Come ci ricorda Giulio Cavalli, nel 2015 Schlein decise di lasciare il Pd proprio in seguito alla riforma del lavoro. Per poi rientrare nel partito, scalando la segreteria, con l’ambizione di cambiarlo. Come sanno i nostri lettori, questo giornale non è mai stato tenero con Elly Schlein. Per essersi più volte dovuta piegare ai diktat della minoranza e scendere a compromessi con i signori delle correnti.
La firma del referendum della Cgil, come pure le candidature di Marco Tarquinio, espressione del pacifismo, e di Cecilia Strada, sostenitrice del superamento del modello Minniti sull’accoglienza, rappresentano tuttavia un primo, importante cambio di rotta rispetto al passato. Oltre a un segnale in funzione delle alleanze future: una chiara apertura ai Cinque Stelle di Conte e un freno alle convergenze con Renzi e Calenda dai quali Schlein sta prendendo sempre di più le distanze. Normale che gli ex renziani siano nervosi. Non erano più abituati a un Pd che dice e fa qualcosa di sinistra.