Cos’altro deve succedere prima che l’Occidente e l’Europa riconoscano che siamo in guerra? Servono altro sangue, altre stragi, altro terrore? I video con le teste degli ostaggi occidentali tagliate, Charlie Ebdo, centinaia di cristiani trucidati, le cellule islamiche pronte a colpire ovunque e adesso i venti turisti uccisi in Tunisia sono più di una dichiarazione di guerra. La nostra risposta però è fragile, evanescente, incapace di fare la benché minima paura. Gli Stati Uniti bombardano dai cieli (senza pensarci nemmeno ad impiegare truppe di terra) e Paesi come Italia e Germania si sono messi l’anima in pace regalando un po’ di vecchi fucili alle truppe rimaste a combattere l’Isis. Troppo poco e i risultati si vedono. Con la Libia diventata una polveriera, l’Iraq e la Siria nel caos, affidarsi all’Egitto o alle fragili democrazie frutto delle primavere arabe è un’illusione. Non è questione di fare i gufi, ma se non si mette in fretta un argine i prossimi attentati sono già sicuri anche in Italia. Il tempo della diplomazia è finito. L’Isis non è semplice terrorismo, ma un modello di Stato che va fermato. Far finta di niente significa diventarne complice.
L'Editoriale