Se è vero che il governo italiano non è neppure un pelo fascista, come dice col sorrisetto la premier, allora vuol dire che le cose stanno anche peggio, a meno che i manganelli utilizzati così abbondantemente su chi manifesta non siano gesti di tolleranza e partecipazione democratica incompresi. Fatto sta che ieri la polizia ha utilizzato a Firenze e Pisa lo stesso pugno di ferro con cui i peggiori regimi totalitari schiacciano le proteste in piazza, colpendo dei ragazzi inermi con una brutalità che non ha nulla a che vedere col mantenimento dell’ordine pubblico.
Perciò diversi leader politici hanno subito chiesto spiegazioni al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per sapere se la nuova moda di spaccare le teste a chi si presenta con in mano uno striscione sia spontanea o piuttosto dettata da qualche circolare riservata del Viminale. Di sicuro, gli episodi di questo genere si stanno susseguendo con una frequenza che è difficile immaginare casuale. In poco più di una settimana, infatti, abbiamo visto cariche degli agenti in tenuta antisommossa a Napoli, a Torino e a Bologna.
Il giro d’Italia, insomma, di quell’educazione sentimentale che il primo governo di destra-destra della nostra storia repubblicana aveva annunciato già col suo primo provvedimento: quel decreto contro i rave party che sicuramente erano l’assoluta priorità di un Paese con milioni di poveri e spaventose diseguaglianze sociali.
Ora, dunque, possiamo continuare a cascare con tutte le scarpe nelle operazioni di distrazione di massa che il Palazzo ci propina, dalla battaglia fondamentale dei presidenti di regione per tenersi la cadrega al terzo mandato alla separazione di Fedez e Chiara Ferragni, sbattuta in prima pagina da giornali che invece non hanno dedicato una riga alle sorti di Julian Assange. Ma se non abbiamo la stessa pulsione civica da microbi di chi sta autorizzando a massacrare i giovani che protestano, non possiamo tenere gli occhi chiusi sulla deriva autoritaria che si allunga sulla nazione.
Ricordando prima di tutto che i regimi non nascono mai all’improvviso, ma crescono rigogliosamente grazie all’indifferenza, o alle risatine ignobili dei politici a cui viene una paresi o scappano quando gli si chiede di dichiararsi antifascisti, come abbiamo appena visto fare al candidato governatore della Sardegna, Paolo “Trux” Truzzo.
Certo, col senno di poi tutti sono bravi a coglierne i segnali. Ma è qui e ora che si fa la storia, ed è da ciechi o sedicenti tali considerare normale la digos che identifica chi grida “viva l’Italia antifascista” alla Scala o va a deporre un fiore in ricordo di Navalny, l’oppositore di Putin difficilmente morto di raffreddore in Siberia, dove l’aveva recluso il Cremlino.
Chi dice basta
Nell’attesa che il Paese si svegli e torni ad alzare la guardia, i leader dello opposizioni hanno cominciato a denunciare sul serio l’aria che tira, insieme a un numero crescente di intellettuali, giornalisti, professori universitari, artisti e semplici cittadini che ragionano con la propria testa e non con i pixel di Rete4 o le interviste ghiandolari (quelle della saliva) di Bruno Vespa. Persino il sindaco di Pisa, che è della Lega, ha chiesto al questore della sua città perchè ieri si è arrivati a tanto, con i manifestanti immobilizzati a terra, manco fossimo in mezzo a una guerra. A tutti noi è dovuta una risposta, e se i sottopancia dei capoccioni al governo o al Ministero dell’Interno hanno agito così di loro iniziativa, che ne rispondano.
Diversamente, non si può far finta di niente. E nel caso che gli ordini di una tale repressione arrivino dai Palazzi di Roma, Piantedosi non può stare un minuto in più sulla sua poltrona. E chi ce lo tiene è corresponsabile di una tale gestione della sicurezza. Un terreno così importante e delicato da non poter essere lasciato all’improvvisazione o, peggio, a chi potrebbe aver scambiato l’Italia di oggi con il Cile di Pinochet.