Bisogna dare atto al governo di essere insuperabile nello sprezzo del ridicolo. Ieri, mentre i dati delle elezioni in Sardegna arrivavano a dorso d’asino, il Consiglio dei ministri ha stabilito di togliere i miliardi del Pnrr agli enti, come le Regioni, che non sanno spenderli per ammodernarsi e dare ai cittadini servizi di livello europeo. Ma in una delle riforme costituzionali che Meloni e Salvini vogliono approvare è previsto tutto l’opposto, e cioè di cedere altri poteri dallo Stato ai governatori, senza contare che in molte di queste Regioni i responsabili della cattiva amministrazione sono degli stessi partiti di destra che governano il Paese.
Se a Palazzo Chigi, dunque, le idee sono ben confuse, nella coalizione che regge l’esecutivo le cose vanno anche peggio. E comunque vada a finire il voto sardo – a tarda sera ancora mancavano da scrutinare molte sezioni – è venuta a cadere quella che sembrava una certezza, e cioè l’invincibilità di Giorgia. Il voto sardo, anzi, per lo strapotere da cui partivano Fratelli d’Italia e alleati doveva essere una passeggiata di salute. L’Isola sommersa da manifesti della premier replicava un cliché già vincente altrove, dove si è fatta sparire la faccia del candidato di turno per mettere quella acchiappavoti della Presidente del Consiglio. Così il risultato era sicuro, al punto da pretendere per un fedelissimo della Meloni – Truzzu – la poltrona occupata dall’indipendentista Solinas sostenuto dalla Lega.
Sindaco di Cagliari non particolarmente amato, il prescelto aveva però la benedizione di Roma, e perdipiù un aiuto insperato dai soliti sabotatori della sinistra, Renzi e Calenda. La discesa in campo di Renato Soru toglieva certamente qualche punto alla candidata di Giuseppe Conte ed Elly Schlein: la battagliera e molto preparata sui grandi problemi sardi Alessandra Todde. C’era, quindi, da andare sul sicuro e presentarsi tutti insieme – la premier e i suoi vice – sul palco per la chiusura della campagna elettorale. Una formalità di pochi minuti, di tutt’altro sforzo rispetto ai giri in lungo e largo fatti dai leader di 5S e Pd.
Per le destre, però, ieri mattina il risveglio è stato amaro. I primi dati ufficiosi rivelavano subito un forte vantaggio della Todde nelle città maggiori. Per una ragione che al momento resta ignota, i dati delle sezioni scrutinate non venivano però caricati sull’efficientissimo portale della Regione, che per buona parte della giornata ha reso pubblico un dato inspiegabilmente incompleto e diverso da quello reale, attribuendo a Truzzu un vantaggio fino a quattro punti percentuali. Numeri su cui incombeva una stramba norma elettorale, per cui in mancanza del risultato definitivo entro le 19 si sospendeva lo spoglio e si rimandava tutto al conteggio in tribunale, con calma, anche tra un mese.
In questo modo, nel frattempo, i soliti noti continuavano a guidare il vapore, magari infilando qualche nuova mancetta in zona cesarini, come ha fatto Solinas nell’ultima giunta. Una porcheria troppo sporca per chiunque, al punto da far scattare nel pomeriggio un’improvvisa deroga, che prolungava le operazioni di voto. A questo punto non c’era più motivo per tenere i dati nel casetto, e la Todde è risalita, fino al risultato che a tarda ora la riportava a prevalere, con un esitoto che vale triplo. Vale per i sardi, perché in una regione dove quasi ogni nucleo familiare ha un candidato o un conoscente stretto in politica (al di là di qualche voto disgiunto) il voto “dovuto” ha seguito la strada che doveva, ma quello “libero” al presidente certifica la voglia di cambiamento e di affrancarsi da una destra deludente.
C’è poi un altro valore – negativo – per la Meloni. Era dal 2015 che sinistra e progressisti non espugnavano una regione alle destre. Dunque, la lezione è chiara e proseguire su questa strada apre le porte all’alternanza di governo. Un processo non facile, che avrà altri Soru a ostacolare il cammino, ma che è vincente. Ce la faranno? Ne capiremo di più con le prossimi Comuni e le Regioni al voto, in particolar modo dal Piemonte.
E qui arriviamo all’ultimo valore – in questo caso negativo – per le destre. L’elezione sarda, che ieri qualche trombettiere sempre presente nei talk show in tv ha derubricato a piccolo test locale, ha invece la stessa portata delle ultime regionali in Emilia-Romagna, quando Salvini uscito con il 34% dalle europee citofonava a caso chiedendo se in casa si spacciava. La batosta che seguì rafforzò il governo Conte mentre la Lega scendeva all’attuale 8% (e in Sardegna ieri moltissimo di meno). Così la Meloni, oggi al 28%, da ora è probabile che cominci a scendere, e anche di diversi punti per volta. Se poi l’economia continua a calare e le cariche della polizia a salire, già alle prossime elezioni europee la politica dominata dalle destre potrebbe trasformarsi in tutto un altro film.