Lo Stato Islamico non farà prigionieri. Né tra gli infedeli occidentali, né tra i mussulmani che non siano della giusta etnia. Il finimondo che sta sconvolgendo il mondo arabo non è infatti solo una guerra di religione, ma prima di tutto un regolamento di conti tra i ceppi sunnita e sciita, in conflitto dalle origini dell’Islam. Senza curarsi di aprire ogni giorno un fronte nuovo, il Califfato ha dichiarato la guerra totale. Dalla Siria all’Iraq, dalla Libia alla Tunisia e allo Yemen, ormai l’Isis tiene in scacco un territorio vastissimo. Non siamo più di fronte a terrorismo ma a un modello con una forza di attrazione senza precedenti. Il fanatismo che si fa nazione e col suo esercito sfida il mondo intero. Se le Nazioni Unite avessero spina dorsale non perderebbero un attimo ad attaccare quello che è lo stereotipo del suo nemico. E invece assistiamo immobili alle stragi di cristiani così come a quelle nelle moschee, aspettiamo il prossimo attacco come una fatalità, quasi fosse un terremoto o un’alluvione. Pure l’agguato a Charlie Hebdo, nel cuore dell’Europa, è già perdonato. Un’Europa così faccia però il piacere di non presentarsi col suo ipocrita cordoglio quando sarà ora del prossimo attentato.
L'Editoriale