L'Editoriale

La coerenza di un’umiliazione

Il Senato, questa mattina, senza averla toccata anzi minimamente sfiorata, approverà in via definitiva la terza Manovra del governo.

La coerenza di un’umiliazione

“Posso chiedervi dov’è la democrazia parlamentare nel momento in cui il Parlamento non può discutere la legge di Bilancio che vi segnalo essere la prima prerogativa dei Parlamenti dalla fine delle monarchie assolute e quindi più o meno dal XVII secolo? Perché se al Parlamento togliete la legge di Bilancio la democrazia parlamentare non c’è e non c’è nemmeno il Parlamento”. Parlava così Giorgia Meloni nel 2019 quando sbraitava dai banchi dell’opposizione.

Oggi, invece, che siede ai banchi del governo come premier ha dimenticato le invettive di un tempo e infligge al Parlamento la stessa umiliazione e mortificazione che rimproverava ad altri di aver provocato prima di lei.

Dopo liti notturne, emendamenti votati per errore, tensioni con le opposizioni – e soprattutto nella stessa maggioranza – il Senato, questa mattina, senza averla toccata anzi minimamente sfiorata, approverà in via definitiva la terza legge di Bilancio del governo.

E oltre al danno si aggiunge pure la beffa. Che si consuma per mano e per bocca di un Fratello d’Italia, rendendo ancora più cocente la sconfitta di Meloni. Guido Quintino Liris in mattinata si dimette da relatore alla Manovra, durante la riunione della commissione Bilancio del Senato. “Dimissioni con richiesta”, dichiara al termine della seduta con piglio perentorio e a mo’ di provocazione. Peccato che non si sappia a chi.

“Ho chiesto al presidente della commissione – spiega Liris – di farsi mediatore perché non ci sia più la singola lettura parlamentare e perché si torni alla doppia lettura”. Un gesto che pare aver irritato molto la capa del suo partito nonché premier, al punto che poi Guido Quintino è costretto a correggersi.

“Non era questione di dimissioni”, ha sottolineato. “Il governo – ha spiegato – aveva trasmesso la Manovra in tempo utile per un esame approfondito, ma purtroppo dal 2018 a oggi la legge di Bilancio viene esaminata senza la doppia lettura nelle due Camere”.

Lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si precipita a dichiararsi disponibile a riformare la legge di contabilità. Rimane la beffa. A mettere il dito nella piaga ci pensa il dem Francesco Boccia: “Ci si dimette – dice – di solito in polemica con chi non ci ha permesso di svolgere il nostro ruolo. Chiediamo a Liris di sapere con chi ce l’ha. Si dimette contro il governo Meloni? Si dimette in polemica con il suo partito che ha sottomesso i gruppi di maggioranza alla volontà ottusa del governo?”. Già.

E se questo è il metodo poco ancora c’è da aggiungere nel merito dei contenuti di questa Finanziaria. Il governo – attacca il M5S – si conferma per quello che è: un Robin Hood al contrario, che toglie a molti per dare ai soliti noti.

Ai pensionati minimi erano stati promessi 1.000 euro al mese, e invece nel 2025 riceveranno 1,8 euro in più; FdI, Lega e FI avevano propagandato l’abolizione della ‘Fornero’ ma con loro sarà sempre più difficile andare in pensione. Con 4,5 milioni di persone che rinunciano a curarsi, di cui 2,5 milioni per motivi economici, non c’è nulla per accorciare le liste d’attesa. Come non c’è nulla per i lavoratori poveri.