Il mondo è una polveriera e l’accordo che disinnesca i programmi nucleari di Teheran ne è l’ennesima prova. Non c’era bisogno dell’ultimo orrore – un centinaio di studenti decapitati in Kenya – per accorgerci che il fondamentalismo islamico è il collante di un movimento ormai vastissimo contro l’Occidente. La guerra dichiarata l’11 settembre non è mai finita, nonostante le missioni in Iraq e Afghanistan, la caduta di regimi, gli embarghi economici e l’appoggio anche militare ai pochi Paesi dialoganti di un’area che va dallo scacchiere arabo all’Africa centrale e all’Asia. Una strategia perdente che gli Usa avevano cominciato a cambiare rinunciando a inviare truppe di terra contro l’Isis. Ora il nuovo affondo, con l’intesa storica nell’ex Persia, la regione su cui Washington aveva puntato di più, insieme a Israele, fino alla fine degli anni settanta. Poi arrivarono gli ayatollah e la storia che conosciamo. Per questo l’accordo che disinnesca la bomba atomica iraniana è doppiamente strategico. Si elimina un pericolo mondiale, ma soprattutto si crea proprio nell’area più problematica del pianeta un nuovo alleato con cui difenderci dall’anti crociata jihadista.
L'Editoriale