Domanda facile: siamo soddisfatti della preparazione con cui gli studenti escono dalla scuola italiana? Se non si è in mala fede la risposta è scontata: i nostri ragazzi sono poco meno che analfabeti. Nessuno più degli insegnanti conosce questa triste verità, eppure ieri in migliaia non hanno mancato l’ennesima lezione sbagliata. Cortei, slogan e striscioni per difendere un sistema che fa acqua da tutte le parti. Con tre nemici giurati: no al merito nelle assunzioni (i sindacati difendono i precari, anche i tantissimi non all’altezza), no ad aumentare il potere dei presidi (ci sono insegnanti che si sentono una casta intoccabile) e no infine a quattro soldi alla scuola privata (perché la libertà di scelta non diventi una brutta abitudine). Questa purtroppo è la base culturale che la scuola trasmette da decenni ai nostri studenti. Di chi è la colpa? Dei sindacati che ci sguazzano, ovviamente, ma anche di una politica che ha usato proprio la scuola come merce di scambio: a ogni periodo di tensione sociale seguiva un’infornata di assunzioni. Tutti contenti e poi lo Stato pagava il conto. Ora si prova a cambiare. Naturale che una scuola di asini bocci chi riforma.
L'Editoriale