Il ministro Carlo Nordio si è presentato alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione. “La magistratura è indipendente”, ha dichiarato Nordio, aggiungendo che ogni fantasia speculativa su variazioni futuribili è un’arbitraria interpretazione divinatoria. Parole solenni, certo. Ma chi ascoltava, con un minimo di memoria storica, non poteva che rimanere sbigottito davanti a tanta coerenza a senso unico.
Lo stesso Nordio, infatti, negli ultimi mesi ha attaccato la magistratura, accusandola di aver “esondato dai propri confini”. Lo stesso ministro che ha parlato di un potere “immenso” esercitato dai pubblici ministeri senza alcuna reale responsabilità. Lo stesso governo che si scaglia contro i giudici quando le loro sentenze non coincidono con le linee politiche di Palazzo Chigi. Ora ci viene a dire che la riforma in fieri, che guarda caso ridisegna proprio i rapporti tra politica e magistratura, si presenta con una “chiarezza cartesiana di rocciosa solidità”?
La verità è che l’indipendenza della magistratura, per questo governo, è una bandiera da sventolare quando conviene e un bersaglio da colpire quando è scomoda. Lo abbiamo visto nel caso delle deportazioni verso l’Albania, quando il Tribunale di Roma si è opposto a una misura in conflitto con il diritto europeo. “Sentenza abnorme”, tuonò allora Nordio. E lo vediamo ora, con una riforma che vuole trasformare l’indipendenza della magistratura in un’etichetta vuota, buona solo per i discorsi ufficiali. Il governo ama l’indipendenza solo quando è una promessa vaga, mai una realtà concreta. Della magistratura indipendente conta l’enunciazione, mica la prova dei fatti.