L'Editoriale

Il silenzio stampa è un’utopia: così si consegna la verità ai regimi

Il silenzio stampa è un’utopia: così si consegna la verità ai regimi

I genitori di Cecilia Sala, preoccupati come tutti noi per la salvezza della figlia ieri hanno chiesto il silenzio stampa per evitare di complicare l’evoluzione della vicenda: “La fase a cui siamo arrivati,” scrivono, “è molto delicata e la sensazione è che il grande dibattito mediatico su ciò che si può o si dovrebbe fare rischi di allungare i tempi e di rendere più complicata e lontana una soluzione.”

Chiedere il silenzio stampa in un Paese disintermediato dai social è un esercizio utopistico. La richiesta è legittima,decidere di continuare a porre domande e dare notizie pure.

Il lungo iniziale silenzio sull’arresto di Sala non ha evidentemente portato alcun risultato. La differenza sostanziale tra l’Italia e i regimi come quello iraniano sta proprio nella funzione incalzante del giornalismo, ancor di più quando si tratta di una collega diventata ostaggio per forzature diplomatiche tra due Paesi sulla testa dell’Italia.

Nel silenzio i regimi hanno sempre dimostrato di fare ancora meglio i regimi. Nel silenzio iniziale il ministro Tajani ha definito una “speculazione” lo scambio di detenuti voluto dall’Iran che oggi è scritto nelle dichiarazioni ufficiali. Con il silenzio l’Egitto ha provato a storpiare la verità scritta sul corpo di Giulio Regeni. Con il silenzio Orbàn sperava di continuare a trattenere in carcere Ilaria Salis dopo 15 mesi di detenzione, fallendo grazie al rumore di 178 mila voti e non certo per la diplomazia italiana.

Il “dibattito su ciò che si può o si dovrebbe fare” è uno dei fini del giornalismo. Consapevoli di un prerequisito essenziale: la famiglia Sala legittimamente si fida del governo e altrettanto legittimamente una parte dei cittadini, della politica e della stampa rivendica il diritto di non fidarsi e di voler sapere.

Ciò che in questi giorni non ha fatto bene a Cecilia Sala sono gli insulti e i complotti evocati via social (anche da giornalisti), sono le parole del ministro Tajani (“la ragazza è in buona salute e si trova in una cella singola, ricevendo un trattamento dignitoso”) smentite dai fatti.

Come ha detto ieri il giornalista Francesco Merlo “quando è consapevole, il silenzio è complice, e non al di là delle buone intenzioni, come spesso si dice, ma al servizio delle buone intenzioni”. Scriveremo responsabilmente, come abbiamo sempre fatto. Ma senza sconti, quelli no.