I partiti politici possono campare nell’anarchia? No, tant’è vero che a governarli c’è in genere una direzione, organo che come dice la parola stessa deve imprimere un orientamento, la cosiddetta linea politica. A interpretare questa linea è in genere un segretario o il leader eletto dai congressi. Se si fa eccezione del caso Berlusconi, un unicum nella storia repubblicana, il leader sta in piedi fin quando la maggioranza lo sostiene. Legittimo dunque che faccia le sue scelte e impegni su queste posizioni tutto il partito. Se a qualcuno non sta bene, nei partiti democratici c’è sempre la possibilità di trasformare una minoranza in maggioranza o andare via. Oggi però questa regola è sempre più in bilico. Spariti i tempi della balena bianca che teneva in pancia tutto e il contrario di tutto, cementando ogni dissidio con la spartizione del potere, adesso le minoranze contestano apertamente i vertici senza però togliere il disturbo. In questo senso il caso Liguria nel Pd è emblematico. Si fanno le primarie, si sceglie un candidato e poi chi perde non lo vota. I partiti caserma non sono amici della democrazia, ma l’anarchia nei partiti è la fine della democrazia.
L'Editoriale