L'Editoriale

Il garantismo non è per tutti

Il garantismo non è per tutti. È piramidale: alla base ci sono i Sangare, quelli per i quali non esiste; al vertice ci sono i politici.

Il garantismo non è per tutti

Grazie a dio! È quanto deve aver pensato il ministro Matteo Salvini quando ha appreso che per l’omicidio di Sharon Verzeni era stato fermato un “non bianco”. Anzi, meglio: uno con cittadinanza italiana, ma figlio di immigrati, proprio uno di quelli che Tajani vuole “beneficiare” con lo Ius scholae. E poi il fermo che avviene pochi minuti prima dell’inizio del vertice di maggioranza. Troppa grazia!

E così è partito l’immancabile tweet: “Fermato Moussa Sangare, origini nordafricane e cittadinanza italiana, sospettato di aver assassinato la povera Sharon. Spero venga fatta chiarezza il prima possibile e, in caso di colpevolezza, pena esemplare, senza sconti”. Testo secco, con nome e cognome, informazioni personali e immancabile appello alla pena esemplare. Perché per uno che di cognome fa Sangare il garantismo, così come lo sbandierato principio di innocenza, non valgono.

Quelli sono “privilegi” riservati ai bianchi e ai colletti bianchi. Ai manager arrestati perché si sono presi la stecca su un tratto di autostrada, o su un palazzetto dello sport (dirigenti spesso scelti dallo politica…). Il garantismo non è per tutti. È piramidale: alla base ci sono i Sangare, quelli per i quali non esiste; al vertice ci sono i politici. Quelli, per esempio, che hanno cognati e suoceri pescati a vendere affari per il ministero gestito proprio dal loro congiunto. Per questi l’informazione deve essere bloccata, zittita, paralizzata. Metti mai che poi chi ti vota possa farsi venire qualche dubbio. È, come dice la destra, una questione di civiltà.