In principio fu un chiodo. Sufficiente a mandare in tilt, da solo, la rete ferroviaria nazionale spaccando in due l’Italia. “Ho chiesto che mergano le responsabilità”, tuonava il 2 ottobre scorso il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, assolvendosi, evidentemente, dalle sue responsabilità. Strategia che avrebbe pure potuto funzionare se solo si fosse trattato di un caso isolato. Ma da allora i “chiodi” non si contano più. Dall’inizio dell’anno al 13 gennaio, come spiega il Codacons, “sono già 86 i casi (circa 6 al giorno, ndr) di interruzioni della circolazione e ritardi dei treni lungo le linee ferroviarie italiane”. E di questi, “63 sono dovuti a problemi tecnici che hanno interessato la rete o i treni”.
Numeri dietro ai quali si nascondono migliaia di lavoratori pendolari e studenti costretti al calvario quotidiano dei disservizi e dei ritardi. Insomma, un girone dantesco in cui l’unico convoglio che viaggia spedito sembra ormai quello del Ponte sullo Stretto di Messina. Stando all’ultimo rapporto Pendolaria di Legambiente, mentre “i finanziamenti nazionali per il trasporto su ferro e su gomma sono passati da circa 6,2 miliardi di euro nel 2009 a 5,2 miliardi nel 2024”, il Ponte “continua a drenare ingentissime risorse pubbliche”. Al punto che “oltre l’87% degli stanziamenti infrastrutturali fino al 2038” riguarderanno proprio la discussa opera dello Stretto. Vero e proprio chiodo fisso del ministro Salvini. Sempre che, dalle parti del governo, a qualcuno non venga in mente di rimuoverlo. Una volta per tutte.