Sono passate poche ore da quando il ministro ai Trasporti Matteo Salvini ha parlato di un operaio “di una ditta privata” che ha sbagliato a piantare un chiodo e quindi sarebbe il vero colpevole del tilt del traffico ferroviario di tre giorni fa. Attilio Franzini, uno degli operai che in subappalto martella i chiodi, ieri è morto investito dall’Intercity Roma-Trieste lungo la linea Bologna-Venezia, a ridosso della stazione di San Giorgio di Piano, nel Bolognese, intorno alle 4.30 di mattina.
Il ministro Salvini di fronte alle telecamere aveva annunciato tronfio di volere sapere in fretta “nomi e cognomi” dei colpevoli dei ritardi. Qualsiasi persona di buon senso ha provato un forte senso di disagio ascoltando un vice presidente del Consiglio che scaricava la colpa sull’ultimo degli operai del complesso e costoso sistema di trasporto nazionale di cui è a capo.
Qualsiasi esperto di comunicazione politica avrebbe potuto consigliare al leader della Lega di smetterla una volta per tutte di fare il forte con i deboli per sottrarsi alle proprie responsabilità politiche. Anche perché in questa Italia i lavoratori deboli, gli ultimi della catena, sui binari troppo spesso muoiono.
Non è un caso che Antonio Laganà, fratello di una delle vittime della strage di Brandizzo, avvenuta sui binari poco più di un anno fa, ieri sia sbottato confessando di avere sperato “che almeno Brandizzo fosse un punto di non ritorno” e che “le regole potessero cambiare”. E chi si occupa delle regole? Salvini, al di là dei chiodi.