L'Editoriale

Il bavaglio è servito

Il bavaglio è servito

Mentre continua a tenere banco la Telenovela Boccia-Sangiuliano, nel primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva, quello di mercoledì scorso, il governo ha licenziato lo schema di decreto legislativo che vieta la pubblicazione delle ordinanze cautelari, inserito, per effetto di un emendamento targato Azione, nella legge di delegazione europea. Un passo avanti, insomma, verso il bavaglio stampa alla cronaca giudiziaria, tradotto in giuridichese attraverso la modifica dell’art. 114 del codice di procedura penale (“Divieto di pubblicazione di atti e immagini”), che imporrà in sostanza il divieto ai giornalisti di pubblicare testualmente (tra virgolette, per intenderci) il contenuto delle ordinanze cautelari (comprese le intercettazioni in esse contenute), consentendone esclusivamente la sintesi non letterale, fino alla fine delle indagini preliminari.

Manca solo il parere delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, richiesto sulle leggi delega del governo, e il provvedimento diventerà legge. Si tratta di una norma che, sanzionando la pubblicazione di un atto non secretato, in quanto già disponibile alle parti del procedimento penale, comprime il diritto di cronaca e, di conseguenza, il diritto dei cittadini ad essere informati. Giusto per fare qualche esempio, se il divieto fosse stato già in vigore, non avremmo saputo nulla (per mesi e, in alcuni casi, per anni) dei dialoghi intercettati tra l’ex governatore Giovanni Toti con gli altri coindagati nell’inchiesta sulla Liguria. O, ancora, non avremmo letto una virgola dell’inchiesta per il crollo del Ponte di Genova. Nonostante le proteste e i dubbi da più parti sollevati rispetto alla legittimità di questa riforma, il governo e la maggioranza parlamentare tirano dritto, allo scopo, come recita il comunicato di Palazzo Chigi, di “rafforzare la presunzione di innocenza della persona indagata o imputata nell’ambito di un procedimento penale”. Resta però il sospetto che si tratti di una legge studiata appositamente per rafforzare lo scudo in favore di una classe politica già ampiamente tutelata dalle guarentigie costituzionali, ma sempre più allergica al giornalismo libero. Specie quando si permette di ficcare il naso nei guai giudiziari che la riguardano.