Con i numeri noti a notte fonda, e quindi non ancora definitivi, un elettore su quattro vuole un governo guidato da Giorgia Meloni, ma quasi quattro italiani su dieci non hanno fiducia nella politica, e quindi non hanno votato, e quasi metà di chi l’ha fatto ha scelto i partiti più lontani da Draghi.
Un elettore su quattro vuole un governo guidato da Giorgia Meloni, ma quasi quattro italiani su dieci non hanno fiducia nella politica
Il Pd resta sui livelli più bassi di sempre e Conte fa un miracolo, tenendo il Movimento Cinque Stelle intorno al 16%, e soprattutto restituendogli una chiara identità. Con le stime provvisorie sull’attribuzione dei seggi, il Centrodestra ha la maggioranza pure al Senato, e basterà lanciare un osso al terzo polo di Calenda e Renzi – che poi in realtà sono arrivati sesti – e una certa tranquillità, almeno per partire, è fuori discussione.
Auguri, perché i problemi sono giganteschi, e i nuovi rapporti di forza quasi umilianti per Forza Italia e Lega rispetto a Fratelli d’Italia sfoceranno facilmente in colpi bassi e fibrillazioni tra i futuri ministri. FdI, che ha capitalizzato alla grande la scelta di stare per cinque anni all’opposizione, adesso non potrà più scappare dalle responsabilità di governo, a costo di follie tipo il voto contro i miliardi del Pnrr.
Se la giravolta rispetto alle posizioni sovraniste a livello europeo e a molte promesse della campagna elettorale non sarà velocissima, rivedremo certamente l’impennata dello spread e una valanga di problemi sul piano economico. A quel punto non sarà uno scenario improbabile il cambio di cavallo di Berlusconi e della prossima dirigenza del Carroccio – Salvini crollato dal 34% delle europee al 10% di ieri quasi sicuramente salterà – e il ritorno di un Esecutivo di emergenza nazionale, di nuovo con Draghi o chi per lui, e quella parte del Pd che non sa stare lontano dal potere. A Palazzo Chigi, insomma, Giorgia camminerà su un tappeto di chiodi. Da non sottovalutare, poi, altre due insidie.
La prima è che il record storico dell’astensione certifica un distacco allarmante della politica dai cittadini. Se non si metterà mani subito alla riforma del sistema elettorale, il deficit di rappresentanza renderà ancora più difficile manovrare nelle acque agitate dei conti in profondo rosso e delle riforme concordate con l’Europa. Dunque, per quanto disinteressati al parere dei cittadini quando c’è tempo prima delle prossime elezioni, i partiti nel contesto complicato che abbiamo davanti o rafforzeranno il filo ormai debolissimo con gli italiani, oppure andranno incontro a pesanti contestazioni ogni volta che si chiederanno sacrifici. E i forconi, quando saltano fuori, sono un bel problema per chi sta al comando.
Più pericoloso di tutto questo c’è però il peso stesso del governo. I partiti che hanno sostenuto Draghi se ne sono accorti senz’altro, e tra loro solo i Cinque Stelle hanno limitato i danni per la determinazione con cui Conte ha imposto le condizioni della sua agenda sociale, a costo di far venire giù tutto. Chi si è immolato per l’Agenda dell’ex premier, come il Pd e ancor di più Luigi Di Maio, ha visto finalmente la distanza che c’è tra l’Italia romanzata dai giornaloni, innamorati di Mr. Bce, e il Paese reale, dove anche quel poco di buono che si è fatto è sparito davanti al terrore per le bollette alle stelle e i venti gelidi di una possibile recessione.
Si va verso un governo Meloni. Ma con gli alleati umiliati la convivenza sarà durissima
Governare, in questi scenari è perciò oggettivamente difficile e dotare l’Esecutivo di maggiori poteri è la strada più corta, ma non necessariamente la più sicura verso il traguardo fissato. Alla sinistra e ai Cinque Stelle tocca perciò il compito, oggi ancora più prezioso, di scongiurare il rischio di derive autoritarie. Per riuscirci serviranno prima di tutto leader capaci e in sintonia col Paese. Conte in questo senso ha dimostrato ampiamente di esserlo, mentre Letta decisamente no. Trarne le conclusioni e farsi da parte sarà il primo passo per tornare in futuro competitivi con le destre.